ll giorno del ricordo di Falcone e Borsellino:
decine di migliaia di studenti da tutta Italia, due
cortei all'albero di Falcone. La commemorazione
con il presidente della Repubblica (video) e il premier. Che dice: "La ragion di Stato è la verità" (video). Dibattito alla Camera, Veltroni: "A lungo li i complici", e indica i banchi del governo
TV, 30% DI SHARE PER I "57 GIORNI DI BORSELLINO"
1992 - 2012: la lunga stagione del sangue e dei misteri,
ma anche della rivolta civile contro la mafia
Dall’agguato a Salvo Lima a via D’Amelio l’anno orribile del sangue e delle stragi che annunciava già le verità che sarebbero emerse,
Dall’agguato a Salvo Lima a via D’Amelio l’anno orribile del sangue e delle stragi che annunciava già le verità che sarebbero emerse,
Le testimonianze
"Attorno a noi vedemmo l'inferno e riuscimmo
a venirne fuori". Storie dei sopravvissuti di Capaci
Impugnavano mitra e pistole dentro le croma blindate che da Punta Raisi correvano verso Palermo in quel sabato pomeriggio. Un corteo di tre auto, al centro del quale viaggiava quella guidata da Giovanni Falcone che aveva chiesto all’autista, Giuseppe Costanza, di cedergli il volante. Accanto al giudice, la moglie Francesca Morvillo. Non c’era particolare tensione, altre volte avevano svolto quel servizio di scorta quando
Giovanni Falcone tornava a Palermo da Roma dove lavorava al Ministero di Grazia e Giustizia.
«Poi, all’altezza di Capaci, l’inferno. Un boato, un cratere che si apre, la nostra blindata che vola in aria e ricade sulle macerie. Io ero al volante, accanto a me Paolo Capuzza e dietro Angelo Corbo. Il fumo era altissimo le altre blindate erano come scomparse. Siamo feriti, storditi, vediamo l’autoblindata del giudice Falcone con il muso sotto un cumulo di terra e cemento, l’altra blindata che precedeva la macchina sulla quale viaggiava il giudice e dove c’erano gli altri tre colleghi, Antonino Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani era come scomparsa. Non si vedeva, era dall’altra parte dell’autostrada. Erano tutti morti». Gaspare Cervello, il caposcorta, non capisce se è vivo o morto anche lui come gli altri. È stordito e quella scena non riesce più a cancellarla.
«Eravamo ancora dentro la blindata e volevamo uscire non solo per salvarci ma per proteggere quell’uomo, Giovanni Falcone e sua moglie, Francesca Morvillo, che ci erano stati affidati. Avevamo appena lasciato l’aeroporto andavamo ad una velocità non sostenuta, dietro avevamo delle altre automobili che non facevamo passare e tra queste una Lancia Thema che poi è rimasta coinvolta nell’esplosione. Dopo il rettilineo, poco prima del bivio per Capaci il finimondo, un’esplosione incredibile e non ho visto più niente, non ricordo quanto tempo sono rimasto in macchina con gli altri due miei colleghi feriti e quando ho ripreso i sensi ho visto che ero intrappolato dentro la blindata e non riuscivo ad aprire lo sportello. Ho impiegato non so quanti secondi, quanti minuti.
Poi, con la forza della disperazione, sono riuscito ad aprire quel maledetto sportello. In quel momento non ho fatto caso neanche ai colleghi, se stavano bene, se erano vivi, se erano morti perché il mio unico istinto in quel momento era quello di andare a vedere dov’era la macchina del giudice Falcone. E quando sono arrivato, barcollando, confuso, con il braccio rotto, ho visto la blindata del magistrato. Una scena straziante. Mi sono avvicinato: la parte anteriore della macchina era coperta dalla terra del cratere, poi ho visto il vetro anteriore lato guida, ma lo sportello era chiuso ed anche se volevamo aprire quello sportello non potevamo fare nulla. Allora come un disperato ho cominciato a gridare il nome del giudice Falcone: “Giovanni, Giovanni...”.
Lui si è voltato, era ancora vivo, aveva tutto il blocco dello sterzo che lo incastrava al sedile, aveva però la testa libera, che si muoveva per qualche attimo. Poi si è accasciato sul volante che gli strozzava il collo». Subito dopo, arrivano anche gli altri due sopravvissuti, Angelo Corbo e Paolo Capuzza. Tentano di chiamare via radio la centrale operativa della questura: «Quarto Savona 15, quarto Savona 15, ci sentite?», gridava Gaspare Cervello, ma nessuno rispondeva, era saltato tutto, non soltanto le tre croma blindate una delle quali, quella con a bordo gli altri tre poliziotti ormai cadaveri non si vedeva più in mezzo a quelle macerie.
Ma la notizia si diffonde dopo alcuni minuti e finalmente arriva anche alla “Centrale”. La radio gracchia: «Esplosione al bivio di Capaci, coinvolta nota personalità ». Quella personalità era Giovanni Falcone. E quando arrivano i primi soccorritori, trovano quei quattro superstiti, Cervello, Corbo, Capuzza, miracolosamente scampati all’attentato. Tra i primi ad arrivare anche “Indio”, un poliziotto della scorta che quel giorno era libero. “Indio” chiamato così perché con quei capelli lnghi neri corvini non sa darsi pace: «Un collega mi aveva chiamato dalla Centrale dicendomi che era stato un attentato: hanno fatto saltare in aria la persona che sai tu. Raggelai. Sono uscito, sono salito in macchina con un altro collega e sono andato sul posto, ho visto quei corpi martoriati, non riuscivo a distinguere chi erano quei corpi dilaniati in quella campagna dove era finita la blindata saltata in aria assieme a quella di Falcone. Poi sono stati recuperati i documenti ed ho scoperto che quei corpi irriconoscibili erano quelli di Antonio, Vito e Rocco».
(da la Repubblica.it / di Francesco Viviano)
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