1 agosto '17 - martedì 1st August / Tuesday visione post - 26 (da la Repubblica - 18 settembre '14 - Milano-Cultura / Chiara Gatti) Il pittore della montagna che sognava di salire in vetta per essere sempre più vicino al cielo. E' un Giovanni Segantini (1858 - 1899) pieno d'aria e di vento quello arrivato ieri sera a Pa- lazzo Reale (Milano) per un'antologica incantevole. Centoventi le opere firmate dal maestro dell'Ottocento italiano, signore delle Alpi e dei prati rigogliosi, della neve e del silenzio. Sce- nari entrati nell'immaginario comune per gli orizzonti immensi che abbracciano le catene dell'Engadina con la potenza di un grandangolo in pittura. Proprio zoomando sul sentimen- to panico del creato, sulla sintonia del suo cuore silvestre con le forze della natura, il percor- so propone una lettura ragionata che non si limita a mettere in fila capolavori, ma ne spiega, la genesi, i simboli, l'evoluzione, complice un fondo di disegni testimoni di ogni fase di stu- dio, di ogni dettaglio costruito in autonomia prima di ricomporsi, come un mosaico, in una visione totale. - Un lavoro di analisi reso possibile grazie alla curatela scientifica di chi Se- gantini l'ha esplorato per decenni: Annie-Paule Quinsac, autrice del catalogo generale, e Diana Segantini, la pronipote, che come lui ha le vette nel sangue. Insieme hanno coordi- nato l'esposizione prodotta da Skira con la Fondazione Mazzotta (il catalogo è una favola); la più grande da quella di Trento dell'87 e la più importante insieme con quella recente al- la Fondazione Beyeler di Basilea. Pochi precedenti per un nome che meritava un "ritorno a Milano", come recita il titolo sui manifesti, pensando alla sua lunga assenza dal sistema delle mostre in città - l'ultima in Permanente negli anni Settanta, ma molti quadri oggi e- sposti si possono apprezzare in pianta stabile alla Gam di via Palestro - e che allude an che a un ritorno ideale nella città che lo accolse da ragazzo, dopo il suo arrivo orfano e di- sperato dal Trentino allora austriaco tirolese, che lo vide crescere sui banchi di Brera, tra- sferirsi in Brianza e poi scappare tra i boschi e le cime lontane. Via, per sempre. ... Segantini e il suo inno a un'armonia superiore fanno fare pace con Palazzo Reale e il suo trend esterofilo. Subito, dalla prima sala, dagli autoritratti magnetici che bucano la carta, si capisce che il viaggio è iniziatico; le nature morte giovanili mescolano scuola barocca e senso di precarietà, i primi scorsi campestri, i temporali, la fatica di vivere dei contadi- ni gravano come macigni fino al momento in cui la fuga gli spalanca i polmoni e intona la sua ode epica alla valle e al mondo. Se l'istinto, davanti a soggetti come Riposo all'ombra o Mezzogiorno sulle Alpi, è quello di osservarli da vicino per contare le schegge di colore della sua maniera "divisa" per poi indietreggiare e vedere i toni fondersi, la sorpresa vie- ne dall'incontro con opere ipnotiche come A messa prima, dove una scalinata grigia inghiot- te un parroco strizzato dalla melanconia, o Ave Maria a trasbordo col suo senso del sacro al- le stelle, arrivata al Museo Segantini di St. Moritz insieme con altri pezzi importanti. Tranne il celebre Trittico delle Alpi, che non esce mai, ma è evocato dagli studi che lo gene- rarono, lasciati incompiuti quando Giovanni, rapito dalla sua montagna incantata, a picco su Pontresina, morì quarantenne per un attacco di peritonite, troppo lontano dal mondo perchè il mondo potesse salvarlo. Mezzogiorno sulle Alpi - Giovanni Segantini / 1891 Lucianone
28 luglio '17 - venerdì 28th July / Friday visione post - 9 Se un deputato può dare pubblicamente della "testa di circonciso" a un suo avversario politico ebreo, perchè un modesto gestore di spiaggia dovrebbe farsi degli scrupoli quan- do invita all'altoparlante a "sterminare i tossici"? Le leggi servono (compresaa quella contro l'apologia del nazifascismo, che come ben sanno i bagnanti di Chioggia è apologia dello sterminio), ma il vero problema è la contagiosa perdita di peso della parola, usata con la leggerezza del rutto anche quando ha la pesantezza del sasso. Massimamente sui social (vero, onorevole Corsaro?) che sono la dinamo inesauribile del deperimento verba- le, ma anche sui giornali, in televisione, sulla scena pubblica, si tira a parlare così come si tira a indovinare. Sappiamo bene quante vittime ha fatto nei secoli, e ancora fa per ma- no jihadista, la sacralità del Verbo. Ma non è un buon rimedio questo parlare a vanvera, e vomitare quello che capita addosso agli altri. Il rischio è che alla fine il cerchio si chiuda, e si chiuda malamente: ovvero che l'uso scriteriato della parola (l'uso scriteriato della li- bertà) riporti in auge, come rimedio reazionario, la Parola Sacra. Ne farebbe le spese la parola libera, che è anche parola responsabile. (Da la Repubblica - 14 luglio '17 - L'Amaca / Michele Serra)
23 luglio '17 - domenica 23rd July / Sunday visione post - 24 (da La Repubblica - 18 maggio '17 - Al cinema / Paolo D'Agostini) Questo di Oren Moverman è il terzo adattamento cinematografico del romanzo La cena (Het Diner, 2013; in Italia Neri Pozza) dell'olandese Herman Koch, Dopo il primo firma- to dal compatriota dello scrittore Menno Meyjes c'è stato nel 2014 quello del nostro Iva- no De Matteo intitolato I nostri ragazzi. Più libera quest'ultima interpretazione e più let- terale la nuova arrivata americana. Ma la dinamica drammaturgica è la stessa e riman- da a molte altre assonanze con drammi a porte chiuse, "da camera" e con pochi perso- naggi alle strette con i loro bilanci di vita: motivo pluri-frequentato da Roman Polanski. Ma anche alimento di un paio di altri recenti film italiani, sia pur merscolando dramma e commedia: Il nome del figlio di Francesca Archibugi e Dobbiamo parlare di Sergio Ru- bini. Mentre il dilemma contenuto nella storia ci ricorda quello che accade in Il capitale umano, il film di Paolo Virzì ispirato con molte licenze al romanzo omonimo di Stephen Amidon. TRAMA - Si tratta del periodico appuntamento in un lussuoso ristorante, con abituale strascico di tensioni e disagi, tra due fratelli e le rispettive mogli. I due uomini, ciascuno assecondato dalla moglie, sono molto diversi e in costante polemica, in aspro attrito tra loro. Soprattutto in un senso, in verità: il fratello che ha avuto meno successo nella vita, di carattere più chiuso e di indole più moralista, non risparmia disapprovazione all'al- tro, al suo stile giudicato prevaricatore e alle sue scelte giudicate strumentali e ciniche. Costui è un uomo di successo e di potere (nel libro futuro primo ministro, in questo film deputato e candidato alla carica di governatore, in De Matteo avvocato rampante). Le schermaglie, che il nuovo film dilata molto in continue interruzioni della continuità della cena, nascondono la ragione profonda dell'incontro che emergerà solo poco a poco con effetti deflagranti oltre che sorprendenti. I figli delle due coppie, cugini e amici, ma con un'aggravante di responsabilità da parte di uno in particolare (e la sua identità e ap- partenenza familiare sono decisive nell'imprevisto bilancio finale), hanno commesso un atto gravissimo, durante una nottata di annoiato e alcolico girovagare, ai danni di una miserabile e indifesa barbona. Mano a mano che il nodo emerge, non senza che esso ven- ga presentato secondo diverse angolazioni - con il loro affondare in radici e recriminazio- ni lontane nel tempo - e alternando presente e flashback, emerge anche la reazione dei ge- nitori e con essa le differenti sensibilità e consistenze etiche. Il momento della verità - que- sti ragazzi devono o non devono pagare per quanto hanno commesso? - sovvertirà quanto avremmo potuto aspettarci. Richard Gere è il politico, Rebecca Hall e Laura Linney sono le due mogli, e Steve Coogan, il fratello pieno di fragilità e di rospi, nel quartetto emerge per la sua performance che dà ragione a quanti sostengono la polivalenza dell'attore comico e i limiti di quello drammati- co, dunque in ultima analisi la superiorità del primo. Attore britannico che ricordiamo nel toccante Philomena di Stephen Frears, Coogan è infatti soprattutto noto come comico.
23 luglio '17 - domenica 23rd July / Sunday visione post - 9 Stati Uniti Il presidente Donald Trump cambia idea: via libera a nuove sanzioni contro la Russia. Russia L'opposizione russa sfila contro la censura sul web: "L'unica alternativa a Putin". Italia - Trentino Valle dei Laghi: scatta la caccia all'orso che ha aggredito un uomo. Ma le associazioni animaliste annunciano battaglia. Italia - Problema siccità Acqua razionata in 20 Comuni della provincia di Roma. E la Calabria chiede lo stato di calamità. Lucianone.
19 luglio '17 - mercoledì 19th July - Wednesday visione post - 16 Un libro per tutti i genitori che della pedofilia vorrebbero parlarne, ma non osano. E per spiegare ai piccoli che "a volte ai grandi si deve dire di no" (da La Repubblica - 22 maggio '17 - Maria Novella De Luca / Roma) Da qualche parte, in fondo al cuore, i bambini lo sanno. Se quella carezza di un adulto è innocente oppure no. Se l'abbraccio, così stretto, di quell'amico di famiglia è affetto puro, o invece l'intrusione in una loro sfera intima e inviolabile. Spesso però a questo allarme interno i bambini non riescono a dare voce. Ed è del loro silenzio che gli Orchi approfittano. Può servire allora spiegare, seppure con leggerezza, a ragazzini di sette, otto anni, che cosa è e come riconoscre la pedofilia? Affrontare cioè il tabù dei tabù, dentro il quale spesso nemmeno i genitori, nonostante il terrore che qualcosa capiti ai loro figli, riescono ad addentrarsi? Una casa editrice fiorentina, Librì, specializzata in progetti educativi, ha provato a rompere il silenzio con una favola dal titolo Mimì fiore di cactus. dove accade che la bambina Mimì e il suo amico porcospino Gastone si trovino in situazioni "strane" in cui diventa necessario, fondamentale e salvifico dire di no. C'è ad esempio Mimì in piscina , che mentre cammina negli spogliatoi viene invitata da un adulto -ad en- trare nella sua cabina: Mimì non capisce il perchè, ma sente che quella situazione è ambigua. E allora non entra nella cabina ma avverte la sua maestra. Perchè, sot- tolinea il porcospino, "non bisogna seguire il primo che passa". C'è poi, ancora, Mimì che mentre attraversa il parco viene affiancata da un signore che le dice "sei carina", le accarezza i capelli, ma poi l. fferra un braccio e tenta di toccarla. Mimì fa: "Bleah, non mi piace che mi tocchi" e grida forte, un altro adulto la salva e poi tutti le dicono che è stata veramente brava a gridare forte. - "Il senso di questa fa- vola è èproprio insegnare ai bambini a difendersi, a dire di No, a urlare il loro di- sgusto per qualcosa che subiscono, ma anche entrare in contatto, attraverso le sto- rie, con temi grandi come la paura o il lutto", spiega Maria Cristina Zannoner, psicopedagogista che ha fondato la casa editrice Librì, specializzata in pr ogetti e- ducativi per le scuole. "I genitori sono terrorizzati dall'idea che i loro figli possa- no subire abusi o violenze, ma spesso non sanno come muoversi in questa sfera delicatissima. Leggere insieme Mimì fiore di cactus, scritto dalla pedagoga fran- cese Marie-France Botte, che ha lavorato moltissimo sul contrasto della pedofilia, può essere l'inizio di un discorso, l'apertura di un varco nel silenzio tra genitori e figli. L'obiettivo è far conoscere ai bambini in quali situazioni si potrebbero trova-. re. E quindi come difendersi. Lo stile è leggero, i disegni alludono ai fumetti, ma le informazioni sono chiare e dirette". Ed è qui che bisogna porsi degli interrogativi. Elencare situazioni di pericolo, di Orchi mascherati da adulti affettuosi, come accade per un'altra protagonista del libro, la piccola Sara, molestata da Giovanni, amico di famiglia, o per Tommy, cui un vicino di casa chiede di spogliarsi, non può indurre nei bambini paure e ansie preventive? Portandoli magari a vedere pericoli là dove non ci sono? "Il tono leggero del libro, l'invito che viene rivolto ai bambini di esprimersi, rac- contare, dire di no anche agli adulti, se questi li infastidiscono, è un antidoto inve- ce alla paura e al segreto, un appello alla libertà dell'infanzia", risponde Cristina Zannoner. "L'autrice della favola ha lavorato a lungo con Terre des Hommes, ong che si occupa in tutto il mondo di lotta alla pedofilia, e che utilizza per la preven- zione proprio materiale informativo come questo, scritto con un linguaggio che possa arrivare ai bambini". "Il mio corpo è il mio corpo", dice forte Mimì, "è proprietà privata", a far capire che al di là delle situazioni ambigue non sempre i più piccoli gradiscono comun- que abbracci e solletico non richiesti. Aggiunge Zannoner: "La storia di Mimì è all'interno di una collana che si chiama Colli lunghi, come il collo della giraffa, così alto da poter vedere oltre le cose di tutti i giorni. E' la nostra idea: i bambini possono sapere tutto, anche le cose più difficili. La sfida è trovare le parole giuste".
6 luglio '17 - giovedì 6th July / Thursday visione post - 26 (Da la Repubblica - 23 marzo 2017 - Allarme terrorismo / Il luogo - John Lloyd) Londra - Quasi tutti i giorni a Londra i turisti si affollano intorno al Parlamento, guardando le statue di re Riccardo I, a cavallo, e del rivoluzionario del Seicento Oliver Cromwell, in piedi con la mano poggiata sulla spada. Tutte e due queste statue sono appena al di fuori delle mura. Poi, dall'altro lato della strada, nei giardini della piazza del Parla- mento, c'è la statua ingobbita di Winston Churchill, un terzo personaggio che combat- tè la sua battaglia più grande tra il 1940 e il 1945 da Downing Street, 200 metri più in là. Tre guerrieri che enfatizzano il modo in cui molti britannici ancora amano vedersi. co- me difensori della loro isola. Ogni democrazia ha un centro dove i deputati eletti dibat- tono delle sue problematiche. <per noi britannici il Parlamento - costruito dopo che un incendio aveva distrutto l'edificio originario, negli anni '30 dell'Ottocento - rimane il simbolo potente di un'assemblea che in varie forme esiste da quasi otto secoli: è fra i più antichi di questi luoghi di riunione e si è gradualmente evoluto in una democrazia elettiva. - Il Parlamento fu danneggiato 14 volte dalle bombe durante la guerra, ma so- lo una volta seriamente, quando l'ultimo giorno di incursioni intensive dei bombarda- menti tedeschi, un ordigno distrusse la principale sala di dibattito della Camera dei co- muni. Fu ripristinata solo nel 1948. Negli oltre 70 anni dalla fine della guerra, il Parla- mento è cambiato poco nel suo aspetto esterno, e i suoi rituali vengono ancora in gran parte osservati. Ma è molto più aperto, ora: il pubblico, come i giornalisti, può assiste- re alle sedute nelle sale principali e nelle stanze delle commissioni. Grandi battaglie oratorie hanno infuriato tra le mura di Westminster, ora non più dominate soltanto da uomini. Anzi una donna, Theresa May, è tornata a ricoprire la carica più alta. Le bat- taglie che si preparano sono cruciali come non mai: Il governo è deciso a portare il Re- gno Unito fuori dall'Unione Europea, fra le tante ragioni per restituire potere al Parla- mento. Al contempo, la Scozia, con il suo di Parlamento, potrebbe essere presto chiama- ta di nuovo a scegliere attraverso un referendum se diventare indipendente. Un voto al riguardo è stato sospeso a causa dell'attentato. Il Parlamento, mentre si sta occupando di riportare in patria poteri delegati all'Unione Europea, affronta la prospettiva di per- dere il potere sul Paese con cui si è unito più di tre secoli fa. Essendo una tappa di tutti gli itinerari turistici, la piazza del Parlamento solitamente ha un'atmosfera festosa, con i bambini presi in braccio per fargli vedere i monumenti e gli adulti che cercano di av- vistare qualche politico famoso. Il terrorismo è stato discusso molte volte in Parlamento: è la prima volta che vi entra. La storia di Westminster - La costruzione Il palazzo di Westminster oggi ospita il Parlamento inglese: costruito nell'XI secolo, prima era la residenza del Re - La congiura delle polveri Nel 1605 il complotto dei cattolici e di Guy Fawkes contro re Giacomo I - Carlo I ucciso Qui nel 1649 venne decapitato re Carlo I, dopo la guerra civile vinta da Cromwell - L'incendio Westminster è stato distrutto da un incendio nel 1834, come raccontato da Turner in un celebre quadro Lucianone
3 luglio '17 - lunedì 3rd July / Monday visione post - 22 Unostudio del Cnr ha individuato dove le correnti portano l'immondizia galleggiante. La massima concentrazione tra Toscana e Corsica: 10 chili per chilometro quadrato (Da la Repubblica - 17 dicembre '16 - L'ambiente / Elena Dusi - Roma) Il Mediterraneo è diventato una zuppa di plastica. Un chilometro quadro, nei mari italiani, ne contiene in superficie fino a 10 chili. E' questo il record del Tirreno setten- trionale, fra Corsica e Toscana. Attorno a Sardegna, Sicilia e coste pugliesi, la media è invece di 2 chili. Sono valori superiori perfino alla famigerata "isola di plastica" nel vortice del Pacifico del nord: un'area di circa un milione di chilometri quadri in cui le correnti accumulano la spazzatura dell'oceano. Qui la densità delle microplastiche - i frammenti do pochi millimetri das cui è formata la "zuppa" - è di 335mila ogni chilo- metro quadrato. Nel Mediterraneo arriva a 1,25 milioni. Per evitarlo, tutta la spazza- tura dovrebbe andare nei cassonetti anzichè nell'ambiente. L'analisi che ha riguardato i mari della penisola arriva da un gruppo di biologi del Cnr ed è pubblicata su Scientific Reports. "A finire in mare sono soprattutto i rifiuti della nostra vita quotidiana" spiega uno dei coordinatori, Stefano Aliani, che con i colleghi nel 2013 ha raccolto i campioni di spazzatura a bordo della nave del Cnr Urania. "Sacchetti e bottiglie vengono degradati dalla luce. Nel giro di anni o perfino secoli, a seconda del tipo di plastica e dell'ambiente in cui finiscono, questi rifiuti si ri- ducono in poltiglia". I frammenti microscopici sono stati raccolti con una rete specia- le trainata dall?Urania in 74 punti di Adriatico e Tirreno. "Nel complesso - scrivono i biologi nello studio - la plastica è meno abbondante nell'Afriatico, con una media di 468 grammi per chilometro quadro, rispetto al Mediterraneo occidentale" con una media di 811 grammi. "La gravità della situazione del Mediterraneo non ci stupisce" dice Aliani. "E' un mare sostanzialmente chiuso, in cui una particella ha un tempo di permanenza di circa mille anni. Teoricamente, cioè, impiega tutto quel tempo per at- traversare la stretta imboccatura di Gibilterra. Nelle sue acque sboccano anche fiumi importanti come Danubio, Don, Po e Rodano". Anche se i mari diventano sempre più torbidi (si calcola che dei 300 milioni di tonnellate all'anno di plastica prodotta nel mondo, una dozzina finiscano in mare), quale sia la sorte di buona parte della spazza- tura resta un mistero. "Non sappiamo dove sia oggi tutta la plastica che abbiamo pro- dotto" spiega Aliani. "Quella che ritroviamo nelle nostre spedizioni non si avvicina neanche lontanamente all'ammontare che secondo i nostri calcoli dovrebbe esere fini- to in mare. Può darsi che molta si perda in fondo agli oceani, dove non abbiamo la possibilità di osservarla". - La responsabilità delle zuppe marine va in buona parte al packaging non riciclabile. In Europa scatole e involucri contribuiscono al 40% del- la produzione di questo materiale e a più del 10% dei rifiuti. Il 92% della plastica tro- vata in mare è composta da frammenti di meno di 5 millimetri. Tracce sono comparse in Artide e Antartide. Sono finite inglobate in alcune rocce (un campione dei cosiddet- ti "plastiglomerati" è stato osservato alle Hawaii nel 2014) e si sono infilate nei sedi- menti dei fondali oceanici. Questo materiale è perfino stato proposto come uno dei se- gni distintivi dell'antropocene, l'era geologica caratterizzata dai segni della presenza umana sulla Terra. "Per l'ecosistema marino, i danni sono molteplici" conferma Alia- ni. "Il pericolo più evidente per gli animali è il soffocamento". Ma questi frammenti possono anche essere ingoiati dal plancton, le minuscole creature che si trovano alla base della catena alimentare del mare. In Spagna è nata un'azienda - la Ecoalf - che raccoglie sacchetti e bottiglie finite nelle reti dei pescatori e li ricicla producendo vesti- ti. "Il problema non è solo la plastica in sè" prosegue il biologo del Cnr "Mancano studi approfonditi, ma si pensa che questo materiale sia inerte per gli organismi". Più pericolose sono le sostanze che alla plastica vengono combinate durante i processi in- dustriali, per fornirle le caratteristiche volute. "Potrebbero agire come pseudo-ormoni, creando scompensi nel sistema endocrino. "Abbiamo osservato il problema nelle balene". Le tappe e i dati Le spedizioni - I campioni di plastica sono stati raccolti durante due spedizioni nel 2013 sulla nave Urania del Cnr. I 74 campionamenti sono avvenuti fra Tirreno e Adriatico. La rete - La rete era trainata per 5 minuti a 1,5-2 nodi. Le plastiche sono state suddivise per dimensioni e osservate al microscopio.
17 giugno '17 - sabato 17th June / Saturday visione post - 13 Quando a dire "io so, ma non ho le prove" era Pasolini, si trattava di un intellettuale cosciente di dare scandalo, forte solamente del proprio pensiero, e rischiando di suo. Ma se a dire "io so, ma non ho le prove" è un procuratore della Repubblica, ovvero una persona che solo attraverso le prove dovrebbe esprimersi, allora c'è qualcosa che non va. Anche perchè a rischiare, se è un magistrato inquirente e non uno scrittore a pronunciare l'"io so", sono i potenziali inquisiti. Africa. faccenda del salvataggio in mare dei migranti salpati dall'Africa. Come è facile capire, tra dire che la presenza delle navi ong vicino alle coste libiche "costituisce un un incentivo indiretto" al traffico di umani (rapporto Frontex) e dire che "le ong sono in combutta con i trafficanti" sono due posizioni un pò diverse. Nel primo caso si tratterebbe di un eccesso di zelo umanitario, nel secondo di un'ignobile speculazione e soprattutto di un crimine. Cercare di usare le parole con precisione, per i giudici, per i politici, per i giornalisti, dovrebbe essere importante quanto per i migranti indossare il salvagente. (Da la Repubblica - 29/04/2017 - L'Amaca / Michele Serra)
Si capisce che la Tav, che costa caterve di denaro pubblico, tiene aperti per anni enormi cantieri, buca le montagne, sposta milioni di metri cubi di detriti, cambia l'orografia e il regime delle acque sotterranee, divida gli animi e inneschi forti proteste. Ma cavare qual- che ulivo per far passare un tubo sottoterra, e poi rimetterlo al suo posto, il tutto a spese di una società privata, come è possibile che produca una rivolta che non ha alcuna vera pezza d'appoggio di carattere ambientale o tecnico o naturalistico? La sola spiegazione plausibile è il sentimento di esclusione, motore di molte delle meno ragionevoli prese di posizione politiche degli ultimi anni (vedi quel coacervo di ostilità assortite che chiamiamo pupulismo). Molte persone, molte comunità si sentono escluse da ogni decisione e da ogni scelta. Dunque sono ostili per principio a quella decisione e a quella scelta, indipendentemente dalla sua utilità e dalla sua bontà. A questo si ag- giunge la crisi drammatica del concetto stesso di delega, di autorità, di classe dirigente. O si prova a costruire con pazienza e rispetto un rapporto decente, e nuovo, tra gover- nati e governanti, o anche spostare un vaso di gerani sarà il possibile innesco di una ri- voluzione. (Da la Repubblica - 28/04/'17 - L'Amaca / Michele Serra)
16 giugno '17 - venerdì 16th June / Friday visione post - 27 (da la Repubblica - 23/12/2013 - Arianna Finos / Londra) Oprah Winfrey e Forest Whitake, la regina dei media americani e l'attore premio Oscar si sono spesi fino allo sfinimento per The Butler - Un mggiordomo alla Casa Bianca, epo- pea delle lotte per i diritti civili e i traguardi degli afroamericani, raccontata attraverso la storia vera di Eugene Allen, servitore per 34 anni (dal '57 alll'86) di sette presidenti de- gli Stati Uniti. Come già per Precious, il "black pack" di famosi e potenti (ci sono anche la comunità afroamericana Mariah Carey e Lenny Kravitz) ha chiamato a raccolta la co- munità afroamericana: 116 milioni di dollari d'incasso solo in Usa, per un film che ne è costato trenta. Ma non ha convinto i critici la rilettura fin troppo politicamente corretta di 50 anni di battaglie contro la discriminazione, raccontata attraverso il rapporto tra un padre e un figlio: l'ex schiavo diventato il primo maggiordomo nero alla White House (Whitaker) e il figlio, leader delle Pantere Nere, interpretato da David Oyelowo. Signora Winfrey, dai tempi di Il colore viola è cambiata la presenza degli afroamericani nel cinema. Winfrey: "Sì, lo dimostrano film come 12 anni schiavo, Fruitvale station, Mandela-Longwalk to freedom. Spero che il successo di The Butler spinga in questa direzione. Ma, piuttosto che sottolineare che ci sono buoni film sui neri o sui gay, sarebbe meglio dire solo che sono buoni film: mostrarli come la normalità, sottolinenado le similitudini, piuttosto che le differenze. CONTINUA... to be continued...