(da La Repubblica - 18 maggio '17 - Al cinema / Paolo D'Agostini)
Questo di Oren Moverman è il terzo adattamento cinematografico del romanzo La cena
(Het Diner, 2013; in Italia Neri Pozza) dell'olandese Herman Koch, Dopo il primo firma-
to dal compatriota dello scrittore Menno Meyjes c'è stato nel 2014 quello del nostro Iva-
no De Matteo intitolato I nostri ragazzi. Più libera quest'ultima interpretazione e più let-
terale la nuova arrivata americana. Ma la dinamica drammaturgica è la stessa e riman-
da a molte altre assonanze con drammi a porte chiuse, "da camera" e con pochi perso-
naggi alle strette con i loro bilanci di vita: motivo pluri-frequentato da Roman Polanski.
Ma anche alimento di un paio di altri recenti film italiani, sia pur merscolando dramma
e commedia: Il nome del figlio di Francesca Archibugi e Dobbiamo parlare di Sergio Ru-
bini. Mentre il dilemma contenuto nella storia ci ricorda quello che accade in Il capitale
umano, il film di Paolo Virzì ispirato con molte licenze al romanzo omonimo di Stephen
Amidon.
TRAMA - Si tratta del periodico appuntamento in un lussuoso ristorante, con abituale
strascico di tensioni e disagi, tra due fratelli e le rispettive mogli. I due uomini, ciascuno
assecondato dalla moglie, sono molto diversi e in costante polemica, in aspro attrito tra
loro. Soprattutto in un senso, in verità: il fratello che ha avuto meno successo nella vita,
di carattere più chiuso e di indole più moralista, non risparmia disapprovazione all'al-
tro, al suo stile giudicato prevaricatore e alle sue scelte giudicate strumentali e ciniche.
Costui è un uomo di successo e di potere (nel libro futuro primo ministro, in questo film deputato e candidato alla carica di governatore, in De Matteo avvocato rampante).
Le schermaglie, che il nuovo film dilata molto in continue interruzioni della continuità
della cena, nascondono la ragione profonda dell'incontro che emergerà solo poco a poco
con effetti deflagranti oltre che sorprendenti. I figli delle due coppie, cugini e amici, ma
con un'aggravante di responsabilità da parte di uno in particolare (e la sua identità e ap-
partenenza familiare sono decisive nell'imprevisto bilancio finale), hanno commesso un
atto gravissimo, durante una nottata di annoiato e alcolico girovagare, ai danni di una miserabile e indifesa barbona. Mano a mano che il nodo emerge, non senza che esso ven-
ga presentato secondo diverse angolazioni - con il loro affondare in radici e recriminazio-
ni lontane nel tempo - e alternando presente e flashback, emerge anche la reazione dei ge-
nitori e con essa le differenti sensibilità e consistenze etiche. Il momento della verità - que-
sti ragazzi devono o non devono pagare per quanto hanno commesso? - sovvertirà quanto
avremmo potuto aspettarci.
Richard Gere è il politico, Rebecca Hall e Laura Linney sono le due mogli, e Steve Coogan,
il fratello pieno di fragilità e di rospi, nel quartetto emerge per la sua performance che dà
ragione a quanti sostengono la polivalenza dell'attore comico e i limiti di quello drammati-
co, dunque in ultima analisi la superiorità del primo. Attore britannico che ricordiamo nel
toccante Philomena di Stephen Frears, Coogan è infatti soprattutto noto come comico.
Lucianone
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