15 marzo '23, mercoledì 15th March / Wednesday visione post - 2
(da la Repubblica - 12 marzo '23 - da l'Amaca / di Michele Serra)
Il ritmo della rivoluzione
Voglio vederti danzare, come i dervisci che girano sulle spine "dorsali". Ascoltare questa canzone
Voglio vederti danzare, come i dervisci che girano sulle spine "dorsali". Ascoltare questa canzone
di Battiato, oggi, e pensare alle ragazze iraniane sotto la morsa di quel regime orribile di maschi
orribili, è tutt'uno. Chissà cosa direbbe Battiato, grande ammiratore della cultura islamica del
sufismo, di questo odio per la danza, di questo obbrorio, di questa mutilazione. Non perdo una
sola delle scene di danza che da anni vengono messe in rete dalle ragazze e dai ragazzi di Teheran
a rischio della galera e delle frustate. Sono commoventi, potenti, hanno la forza trascinante della
rivolta e della libertà, della Carmagnola che travolge il regime, del Ca ira cantato da Edith Piaf al
battito dei tamburi, della corsa solitaria sulla spiaggia di Antoine Doinel nel finale dei Qattrocento
colpi. Ballare per ribellarsi, sciogliere il corpo, farlo parlare, rendere onore all'eros come ovunuqe
nel mondo, dalle aie contadine alle corti licenziose, si è sempre fatto per gioire del movimento, per
poter battere il tempo e farlo insieme agli altri.
"Il paese dove non si può ballare" sembra il titolo di un romanzo distopico, e a pensarci bene lo è
(in buona sintonia con l' Afghanistan). La distopia, al contrario dell'utopia, è la forma che si per-
verte, è il peggio che diventa realtà. Ho rinunciato a molte speranze, negli anni, ma vorrei riuscire
a vivere quanto basta per vedere le ragazze di Teheran ballare sopra le tombe dei loro oppressori.
Se la parola "rivoluzione" può ancora avere una incarnazione, è questa.
Lucianone
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