giovedì 5 luglio 2018

La STORIA - reportage / I profughi - A Bani Walid (Libia) tra gli angeli

5 luglio '18 - giovedì                      5th July / Thursday                       visione post - 11


(da la Repubblica - 23 giugno '18 - Primo Piano / Vincenzo Nigro, a Bani Walid)
Tra gli angeli di Bani Walid
"Aiutiamo chi è sfuggito all'inferno"
"Abbiamo iniziato a raccoglierli un anno e mezzo fa: i primi due li abbiamo trovati nella 
discarica di spazzatura, i trafficanti li avevano gettati lì di notte. Erano stati torturati pe-
santemente, a uno avevano rotto le gambe. Non sapevamo cosa fare, abbiamo avuto pau- 
ra a portarli in ospedale perchè temevamo di essere scambiati noi per trafficanti. Li ab-
biamo curati alla meglio, ma poi abbiamo dovuto chiamare i medici. Uno è morto, ma
l'altro lo abbiamo salvato. E da allora non ci siamo fermati".
Questa è Bani Walid, la capitale dei migranti a Sud di Tripoli, lo snodo, la piattaforma dove 
i trafficanti parcheggiano in decine di case prigione i migranti che poi trasferiscono verso le
spiagge da cui (forse) partiranno: Tripoli, Misurata, Homs, Garabulli Sabrata. Chi parla è
il professor Hosin Mohammed, ha una storia che da sola vale un libro: è un ex gheddafiano,
hs studiato ad Atlanta, ha insegnato inglese a Bani Walid e poi a Tripoli ha lavorato per la
"Fondazione Libro Verde", la "bibbia" di Gheddafi. Dopo la rivoluzione è stato due volte
in carcere, da quando l'hanno liberato vive in questa città.
Arrivare a Bani Walid non è facile: a 180 chilometri a sud di Tripoli, sulla strada che porta
alla capitale del Fezzan Sebha, questo è un altro mondo. All'ingresso della città i monumen-
ti hanno ancora la bandiera verde gheddafiana. Bani Walid e Tarhuna erano città che offri-
vano soldati fedeli e leali a Gheddafi. Dopo la rivoluzione i gheddafiani  provarono a ribel-
larsi, sequestrarono dei giovani di Misurata, sembra ci fosse uno di quelli accusati di aver ucciso il colonnello. Arrivò l'esercito di Misurata, devastò la città, diede una lezione di vio-
lenza ai gheddafiani e se ne tornò indietro. Da allora la città è difesa da una milizia mante-
nuta debole, per cui i trafficanti (che girano con kalashnikov ed Rpg) sono i padroni della
notte e delle campagne.
"Da quei primi due non ci siamo più fermati: tutti i malati, i feriti, i torturati che veniva-
no scaricati dai trafficanti li abbiamo curati, prima in una casa, poi in queste due, le ab-
biamo battezzate "Albeit Alamen", le case sicure. Oggi tutti sanno che curiamo i migran-
ti, le case sono aperte, ma nessuno entra, anzi chi può ci aiuta a curarli, farli mangiare, a
sopravvivere".  Da Misurata ogni settimana arrivano un medico e un infermiere di Medi-
ci Senza Frontiere. Msf ha contattato anche un medico locale, che viene a lavorare in un
piccolo ambulatorio nella casa. Yusuf Demba Sankhanou viene dal Senegal, è partito nel
2016 e da allora ha provato  disperatamente  a entrare  in Italia: "Sono passato dal Mali, 
da Bamako e poi Gao. Sono entrato in Algeria, ho lavorato con una compagnia cinese, in
un campo militare. Poi sono passato in Libia, ho pagato 1200 dollari, uno dei trafficanti è
un senegalese che se li è fatti mandare dalla mia famiglia con un money transfer in Sene-
gal. Fanno così - spiega Yusuf - I soldi li fanno mandare ai loro complici che poi pagano i
complici in Libia. A Tripoli  prima ho aspettato di partire da Garabulli, poi da Tajura.
Quando dovevamo partire il secondo gommone è esploso, lo avevano gonfiato troppo e si
è rotto. E' stato un caos, sono arrivati i poliziotti, hanno sparato, mi hanno messo in pri-
gione. Ci hanno mandato al Sud a Sebha, sono stato torturato e sono tornato qui, mi ave-
vano quasi ucciso. Adesso voglio solo una cosa: voglio tornare in Senegal".
Friday Goodstime è nigeriano, 21 anni: a Sebha i trafficanti gli hanno spezzato le gambe
a colpi di bastone di ferro mentre telefonava alla famiglia per farlo gridare mentre chie-
deva i soldi: "Mi hanno caricato comunque su un camion, con altri che erano stati tortu-
rati e mi hanno scaricato qui. Mi sto riprendendo. Voglio tornare in Nigeria".
Anche Mohammed Kondi, 27 anni, per arrivare dalla Guinea Conakry in Libia è passa-
to dal Mali e dall'Algeria: "In Algeria ho lavorato per i turchi, costruivano case a Blida.
Poi ho trovato i soldi e sono passato in Libia: il giorno dopo esser entrato sono stato ar-
restato una prima volta. Ho pagato per uscire, e ce l'ho fatta. Ho provato a partire per
l'Italia due volte, mi hanno ripreso e messo in carcere.  Siamo fuggiti con quattro suda-
nesi, ma ci hanno sparato addosso, mi hanno colpito di striscio alla spalla, per fortuna 
non mi hanno fratturato l'osso. Ora voglio solo tornare in Guinea".  Dentro una stan-
za c'è il caso peggiore, una donna eritrea abbandonata su un materasso, i trafficanti
per trasportarla l'hanno legata come un capretto, poi l'hanno gettata dal camion. Non
è chiaro se abbia il bacino fratturato o cosa altro, ma qui non ci sono i raggi X, i medi-
ci di Msf stanno organizzando qualcosa in una Libia in cui del quasi non ci sono gli ospe-
dali.  -  Il professore Hosin si aggira come un padre, un fratello premuroso. Cura gli
altri per curare il suo dolore: "Vedo questo paese distrutto, non guardo al passato ma
penso al futuro miserabile che abbiamo davanti. Beni Walid è stata cancellata dal go-
verno di Tripoli, non ci mandano aiuti, non ci mandano polizia.  I trafficanti di notte
sono pericolosi, ci sono zone in cui nessuno ha il coraggio di avventurarsi.
Bani Walid in Libia passa come la città dei trafficanti, un luogo dove c'è anche un
"mercato" degli schiavi.  "Non c'è mercato, perchè con la violenza a questi uomini 
possono far fare tutto. E tutta Bani Walid ci aiuta, perchè noi non sopportiamo que-
sto marchio di infamia  e  perchè la nostra anima, la nostra religione sacrosanta  ci
impone di aiutare questi disperati. L'Europa deve fermare questo traffico, deve fer-
marlo in Africa, deve aiutare noi qui in Libia ma poi dovete scendere giù e spiegare 
a tutti che questo viaggio è un massacro, una follia".   Dalla "casa sicura"  del  pro-
fessore Hosin chi sopravvive vuole una cosa soltanto: tornare a casa, in quell'Africa
che non capisce che questo è l'inferno.

Lucianone

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