domenica 5 ottobre 2014

Cultura - Libro / "Visioni democratiche": Walt Whitman e l'America

5 ottobre '14 - domenica            5th October / Sunday                         visione post - 24

L'America di Walt Whitman 
nel suo pamphlet riapparso nelle librerie
in edizione rinnovata

(da 'la Repubblica' - 27/02/'14 - R2Cultura / Nadia Fusini)
Così Whitman costruì l'America
Nella traduzione di Mariolina Meliadò Freeth  questo pamphlet  di Walt Whitman
era apparso per i tipi del Melangolo circa vent'anni fa  col titolo Prospettive Demo-
cratiche, con una bella prefazione di Franco Ferrucci, oggi introvabile. Ora rinasce
come Visioni Democratiche, per Piano B, stessa traduzione, nuova introduzione di
Alessandro Miliotti.  In effetti il titolo originale Democratic Vistas si offre all'ambi-
guità, evocando un'area semantica in cui il senso fondamentale di vista, veduta, pro-
spettiva, fluttua fino a significare visioni del futuro o del divenire.   Ed è questo che
ha in mente il poeta americano: il futuro dell'America.
"Canto me stesso, e celebro me stesso" apriva "Foglie d'erba" con piglio personalistico,
anche se subito dopo il poeta  si riconosceva  tra i figli anonimi della lingua, della terra,
dell'aria americana, "nato da genitori nati qui e così i loro padri e così i padri dei padri".
Ora con lo stesso orgoglio ed empito dantesco, Whitman alza la voce per difendere la pa-
tria.  -  Difenderla da chi? Da un articolo virulento di Thomas Carlyle, saggista e filoso-
fo del Vecchio Mondo, che con acuti vibrati alla Nietzsche attacca  l'idea di democrazia
e il valore del suffragio universale, in nome della difesa di un ideale eroico, che nella de-
mocrazia realizzata  finirebbe  per deperire, a favore della comparsa  di un tipo  d'uomo-
massa (di cui Edgar Allan Poe  in quegli anni  anticipava i tratti  nel sinistro racconto 
dell'uomo della folla).  Anti-democratico e anti-borghese è l'attacco di Carlyle. E come
tutti i ragionamenti di quel tipo prevede uno sbocco autoritario. 
Con insofferenza Whitman legge quell'analisi spietata  e  con risentimento la contesta.
Di qui l'appassionata orazione che leggiamo. Siamo nel 1867: la guerra civile america-
na è finita da sei anni.  Sono  anni  emozionanti, ora di pace, ma una pace complicata 
perchè  gli stati d'America  sono usciti, sì, dal conflitto, ma con il sentimento   di aver 
perduto per sempre l'innocenza, avendo incontrato  non solo  la realtà della violenza,
ma la verità di un male interno alla loro società.    Come comprendere la realtà della 
schiavitù nel disegno palingenetico dei Padri Pellegrini? Come commisurare la volon-
tà di potenza redentiva dei coloni, che dal Vecchio Mondo  erano giunti al Nuovo per
creare una Nuova Gerusalemme, con quel che di fatto è lo Stato dell'Unione? I conti
non tornano.
Con rara generosità Whitman assume le critiche "reazionarie" di Carlyle, ne ricono-
sce  in parte  la giustezza, ma con piglio democratico  ancora più esaltato  difende il 
"sogno americano": non si è ancora realizzato, ma lieviterà nel futuro. Nella since-
rità del ragionamento passa da essere il più radicale dei critici a farsi il più appassio-
nato difensore dell'esperimento democratico.    Riconosce prima di tutto la verità so-
stanziale, etica, più che politica, che non si potrà parlare di Nuovo Mondo, laddove
non si assista alla nascita di una "nuova razza umana". E questa, che è la vera chan-
ce, non si è realizzata."
Il catalogo della corruzione che infetta la società degli Stati è spietato: ipocrisia, ar-
roganza dei politici, depravazione della classe commerciale, amministrazione pubbli-
ca satura di corruzione, venalità, falsità, incapacità: nel mondo degli affari unico o-
biettivo è il guadagno.  In pagine straordinarie per potenza profetica, Whitman fissa
con coraggio lo sguardo sul cancro che corrode il "sogno".  "A un occhio severo che
usi il microscopio morale sull'umanità", come può sfuggire l'infezione? Come non ve-
dere il "piatto e sterile Sahara", ove sopravvivono creature "insignificanti, impudenti,
frivole, forme malaticce, maschi e femmine dipinti"? Ecco dunque la verità terribile: 
"Io dico che la nostra democrazia del Nuovo Mondo è un fallimento".   L'America è 
"un corpo vasto, a cui è rimasto solo un poco, o niente affatto anima". In un paese
"dove tutti sanno leggere e scrivere e godono del diritto di voto",  le cose essenziali
mancano. Perchè tutto manca, laddove manca la coscienza morale, e cioè "la spina
dorsale dello Stato", a fornire la quale non servono i politici. Qui ci vogliono i poeti,
perchè sono i poeti i veri legislatori dell'umanità.      In Europa è il sogno di Shelley,
Schegel, Nietzsche, che i poeti possano salvare il mondo".
Forse la democrazia non è un valore assoluto, ma divenire uomini liberi, eguali tra
eguali - questo è qualcosa: "Democrazia è una grande parola", la cui storia è tutta 
da scrivere, laq cui realtà è tutta da vivere.   L'ottimismo profetico di Whitman vira
verdso l'utopia di una società nè di massa, nè di eroi, ma di esseri singolari, "singo-
le anime solitarie" che compongono un panorama - ecco il senso di vistas - vario e
variopinto di personalità ognuna diversa dall'altra. Questa la "curiosa razza ameri-
cana che politicamente dovrà esprimersi non nei partiti, ma in un "elettorato fluido",
perchè alla fine conta l'individuo, giudice e signore della propria vita.




Lucianone

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