lunedì 21 aprile 2014

Istruzione / grammatica - Parole lunghe: inglese no, italiano sì

21 aprile '14 - lunedì              21st April / Monday                               visione post - 8

Ho trovato finalmente questo articolo, di Bartezzaghi, che spiega
la questione delle parole lunghe e di quelle corte nell'uso  delle 2
lingue, inglese e italiano, e il loro evolversi nella società moderna,
tecnologica/tecnocratica/digitalizzata. Ecco le principali differenze 
e gli aspetti più originali e particolari.  (Lucianone)

Inglese: parole lunghe addio, e nell'Italiano
non si accorcianoMentre le lingue anglosassoni le aboliscono
da noi restano. Perchè più della sintesi amiamo l'enfasi.

(da 'la Repubblica' - 27/03/2014 - Stefano Bartezzaghi)
Ma allora lo sparuto deputato grillino che a Montecitorio  ha detto  sarò "breve e
circonciso" era, oltretutto, controtendenza? La lingua, si dice, si accorcia, abbiamo
a disposizione meno spazio, meno tempo, meno caratteri, meno fiato e lui invece
aggiunge una sillaba oltretutto rovinosa. E lo fa proprio mentre promette di essere 
breve. Chissà, avrà voluto incrociare l'essere "conciso" con un quadrisillabo come
"circoscritto" o addirittura un pentasillabo come "circostanziato". Ma se la matema-
tica non è un'opinione, il dizionario non è aritmetica, e la somma non gli ha giovato.
Tra sms, WhatsApp e Twitter, è vero, ci siamo abituati ad abbreviare le parole, a di-
gitare geroglifici come "cmq" per "comunque" o "xkè"  per "perchè" e a impiega-
re acronimi come "we"  per "weekend" o anche "asap"  che significa  "as soon as
possible", adottato nella nostra anglomania, così poco fantasiosa da non essersi
inventata un ancor più breve, e fico, "ipp" per: "il prima possibile".
L'allarme sulla sparizione delle parole lunghe proviene proprio dai paesi anglofoni,
parola del Wall Street Journal.  In inglese  c'è  da sempre, o quasi, una fobia per  il
quadrisillabo e oltre: paroloni che fanno sentire pretenziosi i locutori  e ignoranti gli
interlocutori. Ma loro si insultano a quattro lettere, mentre noi ce ne mettiamo dieci,
e quattro sillabe, per scambiarci dei compiuti "vaffanculo".   Persino in preda all'ur-
genza espressiva e all'ira siamo dunque indulgenti con la nostra prolissità. 
Un decennio fa era anche uscito un qualche studio che registrava la presenza di co-
gnomi molto corti, monosillabi o bisillabi, ai vertici delle grandi potenze: Bush, Chi-
rac, Blair, Putin. Cognomi che entrano in tutti i titoli dei giornali.   Grande potenza
non siamo, ma i titolisti italiani  hanno certo sudato  per vent'anni  con Berlusconi,
spesso chiamato Silvio anche per ragioni di ingombro. C'è comunque da immaginar-
si che alcuni anglismi  abbiano avuto successo da noi anche per la maggiore econo-
mia, dalle sei sillabe di "ristrutturazione" alle tre di "restyling", ms anche dalle 3
di "d'accordo" alle due di "O.K.".   E poi c'è "spread" (monosillabo) per "differen-
ziale" (pentasillabo), come in passato si è imposto "film" (monosillabo) su "pellico-
la" (quadrisillabo)  e  oramai  si dice "premier" (bisillabo) anzichè "presidente del
Consiglio", a costo di una forzatura istituzionale. Così ci sono imposte, imposizioni,
tributi, contributi, contribuzioni, ma quando protestiamo lo facciamo contro le "tasse",
e, se colpiscono abitazioni e immobili, semplifichiamo tutto in "case".  Però i nostri
"investimenti" hanno cinque sillabe, e già due in più dell'equivalente e non stringa-
to "investments". 
CONTINUA... to be continued...

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