12 novembre '13 - martedì 12th November / Tuesday visioni post - 4
Feroci invettive in tv e castità verbali nelle leggi
Così la politica rivela un assoluto vuoto d'idee
(da 'Corriere della Sera' - 10/11/2013 / LA LETTURA -
Il dibattito delle idee / Usi - Un cantautore, i parlamentari,
persino un cardinale: il dibattito vive di improperi)
di Michele Ainis
Oltre l'insulto, niente
L'invettiva è un antico genere oratorio, che ebbe fra i suoi maestri Cicerone
(celebri le invettive contro Catilina). Non a caso Giambattista Vico, nelle
Institutiones oratoriae, iscrive laudationes et invectivae fra gli artifici dell'e-
loquenza, che a sua volta tende a suggestionare l'uditorio, flettendone la
volontà. Ma la suggestione è anche l'effetto che ci procura la poesia. tanto
che Platone bandì i poeti dal suo Stato ideale, accusandoli di distogliere l'u-
manità dal vero sapere. E infatti l'ars poetica è sempre stata vibrante d'in-
vettive, daPersio a Giovenale, da Boccaccio a Petrarca, da Dante (contro
Firenze) a Carducci (contro il Romanticismo).
C'è allora una lieta novella da annunciare al volgo: in Itaòlia la poesia è
viva, e lotta insieme a noi. D'altronde siamo pur sempre un Paese di poeti
(oltre che di santi e di navigatori: Mussolini dixit). Peccato che nel terzo
millennio l'unico genere poetico ancora in auge sia per l'appunto l'invetti-
va: contro il rivale in affari, il concorrente politico, il collega di lavoro, il
vicino di casa, il cugino di terzo grado. E se nell'invettiva classica preva-
leva un timbro aspro ma controllato, se un tempo vi echeggiavano accen-
ti d'ironia sferzante, adesso c'è solo la sferza, l'ironia sarebbe troppo
complicata. Anzi: non va tanto di moda l'invettiva quanto piuttosto l'in-
veire, l'aggredire verbalmente. Là fuori c'è tutto un popolo che strepita,
vitupera, insolentisce, svillaneggia, vomita improperi. - Le prove? Basta
accendere in un orario qualunque la tv, magari premurandosi d'abbassar-
ne il volume. I talk show sono ormai altrettanti ring di pugilato. S'imba-
stiscono finti processi per consentire a un paio di figuranti d'abbaiare l'u-
no contro l'altro. Altre trasmissioni mettono in piazza amori e umori, e
anche in quel caso basta un fiammifero per accendere la rissa.
C'è poi chi ha saputo tramutare l'invettiva in professione, generalmente
ben remunerata: è il polemista televisivo, che i conduttori si disputano
sguainando bigliettoni. Del resto a questo punto l'invettiva è regola, e
alle regole converrà obbedire. L'altro giorno perfino un meteorologo in
divisa, non avendo con chi prendersela, s'è messo ad inveire nei riguar-
di del maltempo.
Chi ha detto che la tv è un inganno, che lo schermo televisivo riflette una
finzione? Non è vero, rispecchia i nostri usi, benchè per solito si soffermi
sugli abusi. L'invettiva, la maledizione permanente, è infatti diventata il
nostro companatico. Di noi telespettatori, non solo degli attori. Una pie-
tanza che non disdegnano assaggiare uomini di fede o di cultura. Capita
perciò che il cardinal Caffarra, arcivescovo di Bologna, si sfoghi a muso
duro contro gli auricolari dell'iPhone, colpevoli di sviare i giovani dalla
retta via. Capita che il cantautore franco Battiato, per denunciare le ne-
fandezze del Porcellum, se n'esca dichiarando che il Parlamento è pieno
di porcelle (lui, in realtà, ha usato un altro epiteto). Capita ancora che il
blogger Mario Adinolfi definisca i campani un popolo di m., per non es-
sersi opposti alla camorra. E via via, l'elenco sarebbe più lungo d'un len-
zuolo.
Ma il terreno prediletto degli invettori (si dirà così) è la politica. Per ca-
rità, niente di nuovo sotto il sole. Nel 1870 Silvio Spaventa stava pro-
nunciando un discorso alla Camera sulle ferrovie, quando venne inter-
rotto da un deputato dello schieramento avverso, peraltro suo amico
personale. Un uomo dalla barba irsuta e dal pancione opulento, che
Spaventa apostrofò con un insulto: "Taci, porcospino!". L'ingiuriato
reclamò le scuse, il ritiro dell'insulto. E Spaventa: "Ritiro soltanto lo
spino".
CONTINUA... to be continued...
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