lunedì 16 gennaio 2012

L' Intervista - A Nicolai Lilin

Dalla Russia all’Italia, passando per la Transnistria. Educazione siberiana
esordio letterario di Nicolai Lilin racconta il percorso di vita di un giovane
che, pur cambiando paese e cultura, non ha dimenticato le antiche 
tradizioni  della  comunità  alla  quale  appartiene.  
                        Lilin ha fatto due anni di guerra in Cecenia

Intervista concessa da Nicolai Lilin a Giacomo Rosso (in cafèbabel,com)

Nel tuo libro c’è la difesa dell’identità attraverso il rispetto delle tradizioni della comunità. Questa tradizione è riuscita a sopravvivere al socialismo sovietico? In realtà la comunità siberiana in cui sono cresciuto proveniva da una molto più antica che aveva già sviluppato un sistema di autocontrollo e che si opponeva a qualsiasi forma di potere. Non soltanto al socialismo, si opposero al regime dello Zar e alla sua schiavitù. Nel mio libro racconto come l’opposizione al Comunismo    ha cambiato la comunità, le  sue tradizioni, le sue regole sociali e come l’ha portata alla morte.       Io sono                                                                                                                                        cresciuto in Transnistria, dove loro sono stati obbligati a vivere dal regime.    Alla fine degli anni Ottanta già sapevo che la comunità stava morendo. Quando ho iniziato a scrivere mi sono reso conto che la tradizione li ha aiutati a sopravvivere, ma non ha potuto salvarli».

Quante persone conta oggi la comunità siberiana in Transnistria?
«Non esiste più nessuna comunità. Sono io, mio fratello, e forse qualcun altro. Il problema è che anche in Siberia non è rimasto niente. Il nucleo di questa comunità è stato deportato in Transnistria e lì non è sopravvissuto. La comunità che descrivo nel libro era composta da 40 famiglie. Si può dire che la tradizione è stata un appoggio, ma in certe situazioni è impossibile per una comunità sradicata sopravvivere».

La Transnistria è un paese sconosciuto, un pezzo di Russia nel cuore dell’Est europeo. Come vedi l’immagine della Russia in Europa?

«L’80% dell’informazione che ci arriva su questo paese è scorretta. Da una parte c’è il basso livello di preparazione di alcuni giornalisti occidentali. Dall’altra c’è la Russia, un paese immenso, difficile da gestire. Non puoi liquidare una realtà simile in due parole. L’unica cosa certa sulla Russia è che sarà sempre immersa nel caos. È normale. Questo è il suo stato storico. In Russia non esiste, e non ci sarà mai, un governo democratico. Solo una dittatura può riuscire a gestire un territorio simile e tutte le popolazioni che lo abitano».

Ti consideri prima di tutto russo, siberiano o italiano?

«Veramente ora mi considero italiano a tutti gli effetti. Ho la cittadinanza italiana, sarebbe sbagliato e scorretto definirmi russo. Anche se ultimamente ho ricevuto parecchi attacchi da parte dei miei ex concittadini russi».
Cosa ne pensi dei paesi dell’est Europa che recentemente sono entrati nell’Ue, come la Romania o la Bulgaria?
«Ho molti amici bulgari e conosco la situazione bulgara abbastanza bene. Fa piacere vedere come l’Ue dia la possibilità di svilupparsi negli anni futuri. Ho parlato con i giovani bulgari, e la loro mentalità è diversa dai giovani russi. Loro non pensano soltanto a guadagnare il più possibile, ma a contribuire alla società e allo sviluppo della democrazia perché viaggiano, vedono il mondo e l’Europa occidentale. Loro vedono cosa significano i diritti per i giovani, che cosa significa Erasmus e vedono come le persone possono tranquillamente integrarsi in altri paesi e studiare e lavorare. Fra parecchi anni, quando orami le vecchie generazioni verranno sostituite dalle nuove, allora potrà arrivare la democrazia completa e lo sviluppo sociale>>.
Qual è il ruolo che i tatuaggi hanno nella tua vita? E cos’hanno in comune con la letteratura ?
«La tradizione dei tatuaggi che ho imparato, che tramando e che porto addosso, non è un’esibizione, ma una forma di comunicazione. Come un libro che ognuno si porta addosso. Il tatuaggio è una cosa particolare: detesto l’esibizionismo, non mostro i miei tatuaggi volentieri. La scrittura ha tante cose in comune con il tatuaggio, anche se il secondo è molto più primario, naturale e primitivo. La scrittura è più profonda, più moderna ed eterna. Entrambi i generi richiedono umiltà e onestà da parte di chi li propone. Sentire il contatto con le persone che non ci sono più, ma che portano i loro messaggi umani, onesti, privi di arroganza, appartiene soprattutto alla letteratura e anche al tatuaggio».

Lucianone:   Un'intervista molto interessante, che approfondisce la
                           conoscenza e la personalità di Nicolai Lilin come uomo                 
                            oltre che come scrittore.  
                           Vedere in questo blog  le impressioni di Lilin sugli indignati 
                           russi e sulla protesta di piazza a Mosca contro Putin e il suo 
                           regime....  
                                   In:  Tecnologia -  società / Internet cambia anche la Russia
                                                                                                                    
                                                                                     
                               
Versione inglese
Nicolai Lilin talks tattoos, Bulgarians and Transdniestria
Effectively independent, having declared inde:pendence in 1990, it is still officially part of Moldova. After a very brutal period of conscription in the Russian army in Chechnya, Nicolai decided to change his life. He abandoned Russia and headed to Italy in 2003, where he was reunited with his mother. A few years ago he opened a small tattoo parlour, where he continues the ancient tradition of Siberian tattoo art, a tradition composed of rigid rules and complex codes.    This is the interview  with  Giacomo Rosso:

In your book identity is defended through adherence to community traditions. Did these traditions manage to survive Soviet socialism?

The Siberian community I grew up in actually originated from another, much older, community which had already developed a self-regulating mechanism that was opposed to any form of power. They were opposed not only to socialism but to the tsarist regime and its oppression. In my book I talk about how opposition to communism changed the community, its traditions and its social rules and how it led to its extinction. I grew up in Transdniestria, where people were forced to live by the regime. By the end of the 1980s, I already knew the community was dying. When I began to write I realised that tradition helped it to survive, but couldn’t save it.



How many people make up the Siberian community in Transdniestria today?

There is no longer a community. Just me, my brother, and maybe someone else. The problem is that nothing is left in Siberia either. The heart of that community was deported to Transdniestria and it didn’t survive there. The community I describe in the book was made up of forty families. You could say that tradition was a support, but in some situations it is impossible for a deracinated community to survive.

visioni post - 12

Lucianone





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