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( da La Stampa - 3 aprile '22 - TATJANA DORDEVIC SIMIC)
Kiev e i fantasmi di Sarajevo
Nella capitale della Bosnia il conflitto risveglia
il trauma dell'assedio - mentre in Serbia la memoria
Nella capitale della Bosnia il conflitto risveglia
il trauma dell'assedio - mentre in Serbia la memoria
riporta ai bombardamenti della Nato
La guerra in Ucraina ha rafforzato ricordi traumatici in Bosnia ed Erzegovina, mentre in Serbia ha risvegliato la memoria alla primavera del '99 quando l'alleanza Nato bombardò quel Paese. - Le
immagini che nelle ultime settimane arrivano dall'ucraina hanno provocato empatia, ma anche la
paura dei cittadini di Sarajevo, la capitale della Bosnia, che per quattro anni è stata assediata dalle
forze militari serbe. Prima che la guerra scoppiasse nel 1992, nessuno ci credeva che ci sarebbe
stata, fino all'ultimo giorno, fino ai primi spari, alle prime bombe. Nonostante il conflitto in un'al-
tra repubblica ex-jugoslava, in Croazia, avesse avuto il suo inizio un anno prima, i cittadini della
<bosnia erano convinti che non ci sarebbe stata nessuna guerra. Anzi, non la volevano. Djenita
Delihasanovic aveva solo dodici anni quando con i suoi genitori è andata a vivere in un bunker,
vicino a casa loro, nel centro di Sarajevo. E' rimasta per una anno a vivere insieme con altra gen-
te che si è nascosta lì. Successivamente , lei e la sua famiglia si sono trasferiti in un famoo alber-
go, "Hotel Evropa", dove erano più al sicuro. - "Quello che succede oggi a Kiev è come se fosse
un boomerang per noi che abbiamo vissuto i quattro anni sotto l'assedio. Mi ricordo che invece
di andare a scuola o giocare con gli amici andavo ad aspettare in fila per prendere l'acqua dalla
cisterna che mancava in città. Non vedevo l'ora che arrivasse la primavera quando potevamo
raccogliere l'erba per fsre qualche piatto con la verdura", racconta Delihasanovic. La guerra per
lei è rimasta una ferita profonda, anche dopo tanti anni. Oggi teme che il conflitto ucraino potreb-
be espandersi oltre e rafforzare i nazionalismi nel suo Paese.
Cultura al posto delle armi -
Sarajevo è una città multietnica. Lì vivevano e vivono tuttora i bosniaci musulmani, i serbi orto-
dossi e i croati cattolici. si nascondevano anche insieme dagli spari dei cecchini serbi che dalle
meravigliose colline cicostanti sparavano a ogni essere vivente che si trovava sulle strade della
capitale. - Emina Gegic è bosniaca musulmana e se n'è andata dalla sua città dopo la guerra. Og-
gi vive a Milano e lavora come drammaturga e sceneggiatrice. Nel suo libro "Nero sensibile",
Emina racconta i quattro anni più bui in cui è rimasta intrappolata in una guerra così feroce che
non avrebbe potuto neanche immaginare nei uoi romanzi che già d piccola voleva scrivere. Lei
voleva solo vivere la sua adolescenza e innamorarsi. "Un mio amico ha portato un giorno la pi-
stola a scuola. Avevamo solo sedici anni e le nostre vite all'improvviso si sono trasformate in
paura, sangue, fame. Però, poco dopo che l'aggressione era cominciata, io decisi di combattere
contro l'odio con la cultura e l'arte. Abbiamo cominciato a preparare uno spettacolo teatrale",
dice Gegic.
Analogie e precedenti -
Le due guerre, questa in corso coppiata a trent'anni da quella in Jugoslavia, sono di natura diver-
sa e accadono in momenti storici differenti, ma quella che prima del 24 febbraio fu definita come
l'ultimo più grande conflitto in Europa potrebbe offrire la possibilità di comprendere meglio l'in-
vasione russa in Ucraina. "L'aggressione russa può essere collegata all'inizio della guerra nell'ex
Jugoslavia che finì nel '99 con i bombardamenti della Nato. La Serbia voleva proteggere la mi-
noranza serba prima in Croazia, dopo in Bosnia, come oggi la Russia giustifica l'invasione pro-
teggendo il popolo russo delle repubbliche di Donetsk e Lugansk", dice Mladen Obrenovic,
giornalista di Sarajevo. Lui aggiunge anche che i ricordi della guerra del '92 - 95' in Bosnia so-
no ancora freschi. Già prima dell'invasione russa, attraverso le dichiarazioni di politici irrespon-
sabili, si sospettava spesso che potessero esserci di nuovo conflitti armati.
Un altro elemento paragonabile, come in Jugoslavia ieri, oggi in Russia si continua a negare la
natura degli eventi in corso, non definendoli guerra o invasione, ma preferendo l'espressione ope-
razione speciale militare. L'espressione che la stessa alleanza Nato usò per definire i bombarda-
menti della capitale serba Belgrado.
Il doppio volto di Belgrado -
Serbia e Bosnia sono gli unici Paesi europei che non hanno introdotto sanzioni contro la Russia.
A differenza dei bosniaci, molti serbi sentono molta vicinanza con il popolo russo. Pedja Popo-
vic, quarantasettenne di Belgrado dice che i serbi hanno un atteggiamento tradizionalmente po-
sitivo nei confronti della Russia e che la maggioranza dei cittadini sostiene la decisione di non
sanzionare la Russia. - "Molte persone pensano che questa guerra abbia anche una terza parte,
cioè gli Stati Uniti e l'Occidente, dice Popovic e aggiunge che era proreio la Nato che violò il
diritto internazionale umanitario quando bombardò la Serbia, creando un precedente. D'altra
parte, nonostante i cittadini serbi giudichino negativamente l'aggressione russa sostenendo gli
ucraini, nei giorni scorsi nel centro di Belgrado è stato disegnato un nuovo murale, quello di
Vladimir Putin. Molte persone si sono anche radunate per dare sostegno al presidente russo.
Ma Sanja Lucic, corrispondente dall'Italia per la televisione serba RTS spiega che si tratta di
un episodio di alcune settimane fa, organizzato da alcuni cittadini e gruppi di destra come il
supporto per il popolo russo e non come supporto alla guerra. - Dall'altro lato, anche i serbi
hanno i loro traumi come i bosniaci,, come spiega Djordje Odavic, media expert di Belgrado
che negli anni '90 si era rifugiato con la sua famiglia dalla Croazia in Serbia. "Per me le sire-
ne, i carri armati, le madri che piangono, le case diroccate hanno provocato una sindrome
post-traumatica. La guerra porta solo vittime e la pima vittima è la verità. E' successo già
trent'anni fa in Jugoslavia, e oggi succede in Ucraina", conclude Odavic.
Lucianone
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