10 giugno '13 - lunedì 10th June / Monday visioni post - 8
(da 'Il Corriere della Sera' - 9 giugno 2013 / Paolo Di Stefano)
Quei caduti a guerra (quasi) finita
Probabilmente anche per il capitano dei bersaglieri Giuseppe La Rosa
ieri il bollettino del comando non segnalava niente di buono. Come per
Paul Baumer, il protagonista del romanzo di Erich Maria Remarque,
anche per lui doveva essere una giornata come tante, sul finire della
guerra. anzi, a guerra finita. Si può morire anche a guerra finita, que-
sta è la più amara delle beffe. Il ventenne soldato di Remarque, partito
volontario per la Grande Guerra, era affondato in una trincea accanto
ai suoi compagni, con un sole azzurro sopra la sua testa, quando gli ba-
stò allungare la mano verso una farfalla che volteggiava lì davanti per
essere adocchiato dal nemico e colpito a morte da una granata. Fu ri-
trovato con la faccia riversa nella terra. Erano i giorni dell'armistizio.
Anche per il siciliano La Rosa, 31 anni, da sei mesi in Afghanistan,
questi dovevano essere probabilmente i giorni meno pericolosi, quan-
do ormai i genitori al paese, Barcellona Pozzo di Gotto, stavano tiran-
do un sospiro di sollievo per una guerra conclusa sulla carta.casa
Insensata la morte in guerra, ancora più insensata, se possibile, la
guerra a cose fatte, con il pensiero proiettato al ritorno.
Giuseppe come Paul. Anche il comandante dell'esercito israeliano Uri
Grossman, figlio dello scrittore David, fu colpito (da un missile anticar-
ro libanese) quando già aveva negli occhi il suo congedo, con il proget-
to di girare il mondo e poi di cominciare a studiare teatro. Caduto fuori
dal tempo è il titolo di quella straordinaria lettera d'amore (e di dispe-
razione) in forma di dialogo poetico che è il libro dedicato a Uri da suo
padre: Vennero degli uomini, di notte, portavano una notizia...".
Muoiono gli uomini, sul crinale incerto tra la guerra e la pace. Come
gli americani rimasti sul terreno dopo la guerra in Iraq, un numero
persino superiore a quello delle vittime cadute in pieno conflitto. An-
che loro finiti fuori dal tempo. Senza dimenticare , spostandoci dalle
nostre parti, le migliaia di morti su cui da anni litigano gli storici ita-
liani: i cosiddetti revisionisti che fanno il conto dei fascisti trucidati
per vendetta dopo il 25 aprile. Strascichi di sangue e di odio.
In un libro appena uscito (postumo), il prete-operaio don Luisito Bianchi
narra che proprio il 25 aprile, in extremis, un giovane seminarista della
Bassa padana decise di afferrare una pistola nascosta nel pianoforte di
casa e di schierarsi con i partigiani pieno di rimpianto per non averlo
fatto prima; attraversando i portici del paese e volendo vendicare un ex
compagno di scuola trafitto davanti ai suoi occhi da una raffica tedesca,
non fece in tempo a sfilare la rivoltella dalla tunica che si accasciò ac-
canto all'amico. Eroe per un giorno. Eroe fuori tempo massimo.
Già allora i conflitti si chiudevano con la firma dei trattati di pace solo
per le diplomazie, non per l'angoscia e il risentimento della gente. Ma
se è vero che in fondo nessuna guerra è mai finita, figurarsi quando,
come capita sempre più spesso, i sedicenti vincitori (per autoproclama-
zione) lasciano sul campo una guerra guerreggiata in cui il fuoco può
riesplodere senza preavviso: quando cioè la cronologia, così come il
diaframma tra un prima e un dopo, diventa un'illusione e cadere fuori
da un tempo tanto ingannevole è fatale. E' questa ormai la vera trincea,
non più geografica ma temporale.
Lucianone
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