domenica 15 luglio 2018

Spettacoli - cinema/animazione - Storia di Manuel: lupi loschi, di periferia

15 luglio '18 - domenica                         15th July / Sunday                     visione post - 18

(da la Repubblica - 3 maggio '18 - Emiliano Morreale)
Passato in dordina tra mille altri titoli alla Mostra di Venezia (nella sezione "Cinema nel
giardino"), l'esordio di Dario Albertini avrebbe meritato di più. Probabilmente lo ha pe-
nalizzato anche l'appartenenza  a un vero e proprio sottogenere del nostro cinema, quel
"realismo delle periferie" che ha peraltro prodotto opere notevoli, da Fiore a Cuori puri.
Anche Manuel ha il suo punto di forza  nell'osservazione diretta  e  nella riscrittura sul 
campo del copione.    Come è capitato altre volte, c'è alla base un documentario, La re-
pubblica dei ragazzi 2014), ambientato in una casa-famiglia di Civitavecchia. Da quell'in-
contro nasce lo spunto del film. Il Manuel del titolo è un ragazzo di 18 anni, cresciuto in
quella struttura perchè la madre è in carcere da 5 anni. Adesso esce, torna a casa, è solo
e la libertà un pò lp spaventa. La madre ha chiesto i domiciliari e di essere affidata a lui,
che da figlio diventerebbe responsabile della sua condotta. In attesa del responso del tri-
bunale Manuel vaga, incontra persone nuove, ritrova un amico entrato in giri loschi, o
un altro ex ospite della casa famiglia, oggi falegname. Molti di questi ritratti sono preci-
si, credibili, ma in un film come questo molto si basa sul protagonista. E il film ha la sua 
forza nell'attore venticinquenne Andrea Lattanzi, quasi esordiente, una specie gan-
te dalla faccia lunga, con l'aria da cane bastonato e una fisicità goffa.    Il regista gli sta
addosso, costruisce le scene con tecnica paradocumentaria, senza stacchi, valorizzando 
i ritmi dei dialoghi e spostandosi spesso su di lui anche quando parlano gli altri. Ma so-
no valorizzati anche altri interpreti, come Alessandro Di Carlo, noto finora come comi-
co televisivo.  Manuel è un film tutt'altro che perfetto, a volte incappa in qualche stile-
ma tipico del suo filone, specie nel finale, quando scivola su un paio di immagini quasi 
imperdonabili (meglio chiudere gli occhi e fingere che non ci siano). Eppure conquista 
per la sua curiosità, la capacità di guardarsi intorno con gusto degli spazi, di costruire 
un melodramma contemporaneo (chè di questo si tratta, alla fine) con piccole scene e-
mozionanti: la prima entrata in scena di Manuel, l'addio all'amica da dietro i vetri. il
dialogo con l'assistente sociale. Alla fine, a questo ragazzo ci si appassiona, si spera  e
si soffre con lui.

Lucianone

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