martedì 5 giugno 2018

Società - politica / EUROPA: la quasi fine di un sogno (e i paragoni con gli Usa)

5 giugno 2018 - martedì                           5th June / Tuesday                  visione post - 17

( da la Repubblica - 23 maggio '18  -  di Paul Krugman)
Se l'Europa ha smesso di sognare
Dovendo indicare dove e quando abbia trovato massima realizzazione il sogno umanitario,
ossia l'ideale di una società che garantisce un'esistenza dignitosa a tutti i suoi membri è giu-
sto citare l'Europa occidentale nei sessant'anni successivi alla Seconda guerra mondiale. E'
stato uno dei miracoli della storia: un continente devastato dalla dittatura, dal genocidio e
dalla guerra si è trasformato in un modello di democrazia e di prosperità ampiamente dif-
fusa.  -  Infatti nei primi anni di questo secolo gli europei sotto molti aspetti stavano meglio 
di noi americani.  A differenza nostra  avevano l'assistenza sanitaria garantita  e  di conse-
guenza un'aspettativa di vita più alta; registravano  tassi di povertà molto inferiori  ai no-
stri e avevano effettivamente più prospettive di impiego retribuito all'inizio della carriera
lavorativa. Ora invece l'Europa è nei guai. Guai grossi. Come noi, del resto. Se è vero che 
la democrazia è sotto assedio su entrambe le sponde dell'Atlantico, è anche probabile che,
nel caso, crolli prima qui da noi. Ma vale la pena di staccarci un attimo dal nostro incubo
trumpiano e di volgere lo sguardo alle disgrazie europee, alcune, ma non tutte paragonabi-
li alle nostre.
Molti dei problemi che affliggono l'Europa derivano dalla decisione, disastrosa, presa una generazione fa, di adottare la moneta unica. La nascxita dell'euro condusse a una tempora-
nea fase di euforia in cui Paesi come Spagna e Grecia furono inondati di denaro; poi la bol-
la scoppiò.   I Paesi come l'Islanda, che avevano mantenuto la loro valuta, furono in grado
di riguadagnare rapidamente competitività  svalutando la propria moneta.  Le nazioni del-
l'eurozona, invece, furono costrette a subire  una lunga fase  di depressione, con tassi di 
disoccupazione altissimi, lottando per ridurre la spesa pubblica.
 La situazione peggiorò ulteriormente perchè l'élite sposò contro ogni evidenza la tesi secon-
do cui i problemi europei non derivavano dal disallineamento dei costi, bensì dallo sperpe-
ro delle finanze pubbliche, indicando  come soluzione una rigida austerità, con il risultato 
di aggravare la depressione.  Alcuni Paesi vittima dell'eurocrisi, come la Spagna, sono riu-
sciti infine a riguadagnare faticosamente competitività. Altri invece no. La Grecia continua
a essere disastrata e l'Italia, una delle tre grandi economie rimaste nell'Unione europea, so-
no ormai vent'anni che soffre a vuoto: il Pil pro capite non supera oggi quello del 2000. 
Non sorprende poi tanto quindi che alle elezioni di marzo in Italia abbiano trionfato i parti-
ti anti-Ue: il populista Movimento Cinque Stelle e la Lega, compagine di estrema destra. In
realtà sorprende che non sia successo prima. I due partiti ora sono impegnati a formare un
governo. Non è del tutto chiaro quali saranno le politiche di questo governo, ma senza dub-
bio comporteranno una rottura con il resto d'Europa su vari fronti: la revoca dell'austerità 
di bilancio, che potrebbe sfociare nell'uscita dall'euro, nonchè  misure  restrittive  nei  con-
fronti degli immigrati e dei rifugiati. Nessuno sa come andrà a finire, ma gli sviluppi regi-
strati altrove in Europa costituiscono dei precedenti inquietanti.   L'Ungheria è diventata
effettivamente un'autocrazia a partito unico, dominata da un'ideologia etnonazionalista.
La Polonia sembra ben avviata nella stessa direzione.
Cosa è andato storto rispetto al "Progetto europeo", il lungo cammino verso la pace, la
democrazia e la prosperità, sostenuto da un'integrazione politica ed economica sempre
più profonda?  Come ho detto, l'enorme errore dell'euro ha avuto un gran peso. Ma in 
Polonia, Paese che non ha mai aderito all'euro e si è barcamenato uscendo pressochè in-
colume dalla crisi economica, la democrazia sta crollando lo  stesso.del
Vorrei dire però che ci sono dei retroscena più ampi. In Europa sono sempre esistite del-
le forze occulte  (come da noi).  Alla caduta del muro di Berlino un politologo di mia co-
noscenza fece una battuta: "Ora che l'Europa dell'Est  è libera  dall'ideologia estranea 
del comunismo, può tornare al suo vero corso il fascismo". Sapevamo entrambi che ave-
va ragione.  A tenere a bada queste forze occulte era il prestigio dell'élite europea legata
ai valori democratici. Ma quel prestigio  è andato in fumo  per via del malgoverno, e ad
aggravare il danno è stato il rifiuto di guardare in faccia la realtà. Il governo ungherese
ha voltato le spalle a tutti i valori europei, ma continua a ricevere aiuti su larga scala da
Bruxelles. E qui, mi sembra, sono evidenti i paralleli con la situazione in America.
E' vero, noi non siamo stati vittima di un disastro paragonabile all'euro (abbiamo sì una 
estesa al continente, ma disponiamo di istituzioni finanziarie  e  bancarie federali  che la 
rendono funzionale).   Le  nostre  élite "moderate" però, quanto a valutazioni sbagliate,
sono paragonabili alle loro controparti europee.   Non  va dimenticato  che  nel 2010-11,
quando gli Usa erano ancora vittima della disoccupazione di massa, la maggior parte
dell'establishment conservatore, a Washington, era ossessionato, pensate un pò, dalla
riforma previdenziale.
Nel frattempo i nostri moderati, assieme a gran parte dei mezzi di informazione osses-
sionati dalla par condicio, per anni si sono rifiutati di ammettere che il Partito repub-
blicano si è radicalizzato.  Così oggi l'America si ritrova governata  da un partito che
nutre nei confronti delle regole democratiche  e  dello stato di diritto  scarso  rispetto 
quanto Fidesz in Ungheria. Il fatto è che i guai dell'Europa  fondamentalmente  sono
gli stessi dell'America.  E  in entrambi i casi  il cammino verso il riscatto  sarà molto,
molto arduo.

Paul Krugman
è un economista statunitense; insegna alla City University of New York. Ha vinto il 
premio Nobel per l'Economia nel 2008. Collabora con il "New York Times" dal 1999.

Lucianone

Nessun commento:

Posta un commento