27 giugno '18 - mercoledì 27th June / Wednesday visione post - 18
Nei giorni scorsi il ministro del Lavoro Di Maio si è occupato delle condizioni contrattuali
dei cosiddetti rider, precari della consegna a domicilio. E' stato il suo primo atto politico di
governo; e qualunque sarà il risultato, è stata una scelta importante che pone rimedio a pre-
cedenti omissioni e lacune. Se questo fosse veramente, come si illude di essere, il "gover-
no del cambiamento", il suo biglietto da visita avrebbe potuto essere, appunto, l'apertura
di un fronte sindacale nuovo di zecca, in rappresentanza simbolica di tutto il precariato,
fin qui quasi privo di voce. Ma non lo è stato: perchè il rogo politico appiccato nel frattem-
po dal ministro della Paura Salvini sul fronte dei migranti, degli zingari, di Saviano, dei vaccini, di tutto quanto potesse servire ad accreditare il suo ruolo di ammazzasette, ha bru-
ciato sul nascere qualunque altra lettura di questo governo. Con buona pace dei precari, la
cui causa, nell'agenda politica, è a stento nella top ten, saldamente presidiata dalle istanze leghiste,che sono istanze securitarie, sovraniste, antieuropee, in due parole sole: di estrema destra.
Disse qualche anno fa Beppe Grillo che si doveva ringraziare il suo movimento perchè
avrebbe evitato all'Italia l'arrivo al governo di Alba Dorata. Speriamo che Grillo, Di
Maio, le loro cerchie di pensatori e la loro legione di elettori non siano costretti a ren-
dersi conto del fatto che Alba Dorata, al governo, ce l'hanno portata loro; e che per
questo, solo per questo rischiano di passare alla storia.
(Da la Repubblica - 21 giugno '18 - L'AMACA / Michele Serra)
Lucianone
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mercoledì 27 giugno 2018
martedì 26 giugno 2018
CIBO - Eventi culturali:: le ricette e le pietanze preferite del 'gourmet' Giuseppe Verdi
26 giugno '18 - martedì 26th June / Tuesday visione post - 14
(da la Repubblica - 21 giugno '18 - Food / Ricettario - di Luigi Gaetani)
Il risotto di Giuseppe Verdi
Un' "officina d'alta alchimia pantagruelica", così Giuseppe Giacosa descriveva le cucine
di Villa Sant'Agata, la tenuta di Villanova sull'Arda (Pc) dove Giuseppe Verdi visse per
mezzo secolo. Un rapporto, quello del compositore con il cibo. intenso ma mai morboso:
è sempre Giacosa a spiegare come Verdi non fosse "un gran mangiatore" ma piuttosto
un raffinato gourmet che considerava "il pranzo quale opera d'arte".
Tra aprile e dicembre, l'associazione di aziende agricole piacentine. Le Terre Traverse
organizza "Nella pianura di Giuseppe Verdi", un calendario di eventi culturali in di-
more e cascine della zona. - Venerdì 13 luglio, nel castello di San Pietro in Cerro, c'è
la cena "Verdi tra le stelle", con le ricette "di casa" del musicista. Tra i piatti ricorren-
ricorrenti sulla tavola di villa Sant'Agata c'erano i malfatti, sorta di gnocchi con spina-
ci, la "torta fritta" con gli affettati, la bomba di riso con piccione e i pisarei e fasò, che
sono gnocchetti conditi con fagioli e pomodoro. Come dessert, sbrisolona o ciam,belle
al forno, accompagnate da zabaione al passito o al Marsala. - Ennio Cominetti - orga-
nista, compositore e direttore d'orchestra - ha dedicato proprio al genio di Busseto
parte del libro Musica in... tavola. Le ricette dei grandi musicisti italiani (con Clara Ber-
tella, EurArte, 2015): "Nell'Ottocento - racconta - il cibo era uno strumento per osten-
tare lo status sociale e Verdi non faceva eccezione, anche se aveva gusti più sobri ri-
spetto a suoi contemporanei come Rossini". - Da , buon padano amava il riso, tanto che
lo chef Henri-Paul Pellaprat gli dedicò un risotto con asparagi, funghi e prosciutto. E
andava pazzo anche per salumi e insaccati come la "spalletta" di maiale, da consuma-
re bollita, che proponeva spesso ai suoi ospiti e che arrivò persino a spedire all'editore
Giulio Ricordi a Milano. A Verdi va forse anche il merito di aver inaugurato un'abitu-
dine del mondo operistico nazionale: "Non lasciava mai l'Italia senza opportuno vetto
vagliamento - racconta ancora Cominetti - ed è a sua moglie che affidava la custodia e
l'organizzazione della cambusa". Così Giuseppina Strepponi, alla vigilia di un viaggio
a Pietroburgo, scriveva al segretario di Adelaide Ristori: "Ci vorranno i tagliatelli e i
maccheroni ben perfetti per rendere Verdi di buon umore in mezzo al ghiaccio e alle
pelliccerie" e ammoniva: "Se la Ristori credesse soperchiare, predominare colle taglia-
telle, Verdi conta eclissarla col risotto che per verità sa fare divinamente". D'altronde
è lo stesso Verdi a chiarirlo in una lettera a Ricordi: "Poesia, idealismo, tutto va bene...
ma non si può far a meno di mangiare!".
Lucianone
(da la Repubblica - 21 giugno '18 - Food / Ricettario - di Luigi Gaetani)
Il risotto di Giuseppe Verdi
Un' "officina d'alta alchimia pantagruelica", così Giuseppe Giacosa descriveva le cucine
di Villa Sant'Agata, la tenuta di Villanova sull'Arda (Pc) dove Giuseppe Verdi visse per
mezzo secolo. Un rapporto, quello del compositore con il cibo. intenso ma mai morboso:
è sempre Giacosa a spiegare come Verdi non fosse "un gran mangiatore" ma piuttosto
un raffinato gourmet che considerava "il pranzo quale opera d'arte".
Tra aprile e dicembre, l'associazione di aziende agricole piacentine. Le Terre Traverse
organizza "Nella pianura di Giuseppe Verdi", un calendario di eventi culturali in di-
more e cascine della zona. - Venerdì 13 luglio, nel castello di San Pietro in Cerro, c'è
la cena "Verdi tra le stelle", con le ricette "di casa" del musicista. Tra i piatti ricorren-
ricorrenti sulla tavola di villa Sant'Agata c'erano i malfatti, sorta di gnocchi con spina-
ci, la "torta fritta" con gli affettati, la bomba di riso con piccione e i pisarei e fasò, che
sono gnocchetti conditi con fagioli e pomodoro. Come dessert, sbrisolona o ciam,belle
al forno, accompagnate da zabaione al passito o al Marsala. - Ennio Cominetti - orga-
nista, compositore e direttore d'orchestra - ha dedicato proprio al genio di Busseto
parte del libro Musica in... tavola. Le ricette dei grandi musicisti italiani (con Clara Ber-
tella, EurArte, 2015): "Nell'Ottocento - racconta - il cibo era uno strumento per osten-
tare lo status sociale e Verdi non faceva eccezione, anche se aveva gusti più sobri ri-
spetto a suoi contemporanei come Rossini". - Da , buon padano amava il riso, tanto che
lo chef Henri-Paul Pellaprat gli dedicò un risotto con asparagi, funghi e prosciutto. E
andava pazzo anche per salumi e insaccati come la "spalletta" di maiale, da consuma-
re bollita, che proponeva spesso ai suoi ospiti e che arrivò persino a spedire all'editore
Giulio Ricordi a Milano. A Verdi va forse anche il merito di aver inaugurato un'abitu-
dine del mondo operistico nazionale: "Non lasciava mai l'Italia senza opportuno vetto
vagliamento - racconta ancora Cominetti - ed è a sua moglie che affidava la custodia e
l'organizzazione della cambusa". Così Giuseppina Strepponi, alla vigilia di un viaggio
a Pietroburgo, scriveva al segretario di Adelaide Ristori: "Ci vorranno i tagliatelli e i
maccheroni ben perfetti per rendere Verdi di buon umore in mezzo al ghiaccio e alle
pelliccerie" e ammoniva: "Se la Ristori credesse soperchiare, predominare colle taglia-
telle, Verdi conta eclissarla col risotto che per verità sa fare divinamente". D'altronde
è lo stesso Verdi a chiarirlo in una lettera a Ricordi: "Poesia, idealismo, tutto va bene...
ma non si può far a meno di mangiare!".
Lucianone
sabato 23 giugno 2018
Ultime notizie - dall'Italia e dal Mondo / Latest news
23 giugno '18 - sabato 23rd June / Saturday visione post - 8
Italia - Francia / Polemica migranti
110 migranti su cargo davanti a Pozzallo (Italia - Sicilia)
Salvini: "Si scordino di venire in Italia" / Macron: "Si sbarchi nel porto più vicino".
Roma / Polemica sulla scorta
Cirinnà: "Ecco la polizia che scorta Salvini. Il risparmio vale solo per Saviano?"
La senatricde del Pd attacca il ministro dell'Interno su Twitter dopo la polemica
tra il leader della Lega e lo scrittore.
Germania
La Germania sotto choc per l'attivista Spd uccisa mentre faceva l'autostop
Lucianone
Italia - Francia / Polemica migranti
110 migranti su cargo davanti a Pozzallo (Italia - Sicilia)
Salvini: "Si scordino di venire in Italia" / Macron: "Si sbarchi nel porto più vicino".
Roma / Polemica sulla scorta
Cirinnà: "Ecco la polizia che scorta Salvini. Il risparmio vale solo per Saviano?"
La senatricde del Pd attacca il ministro dell'Interno su Twitter dopo la polemica
tra il leader della Lega e lo scrittore.
Germania
La Germania sotto choc per l'attivista Spd uccisa mentre faceva l'autostop
Lucianone
mercoledì 20 giugno 2018
SPORT - calcio / Mondiale Russia 2018 - Fifa World Cup
20 giugno '18 - mercoledì 20th June / Wednesday visione post - 10
Tutti i risultati fino
ad oggi, mercoledì 20 giugno 2018
Gruppo A
Russia - Arabia Saudita 5 - 0
Egitto - Uruguay 0 - 1
Russia - Egitto 3 - 1
Uruguay - Arabia S. 1 - 0
Gruppo B
Marocco - Iran 0 - 1
Portogallo - Spagna 3 - 3
Portogallo - Marocco 1 - 0
Iran . Spagna 0 - 1
Gruppo C
Francia - Australia 2 - 1
Perù - Danimarca 0 - 1
Gruppo D
Argentina - Islanda 1 - 1
Croazia - Nigeria 2 - 0
Gruppo E
Costa Rica - Serbia 0 - 2
Brasile - Svizzera 1 - 1
Gruppo F
Germania - Messico 0 - 1
Svezia - Sud Corea 1 - 0
Gruppo G
Belgio - Panama 3 - 0
Tunisia - Inghilterra 1 - 2
Gruppo H
Colombia - Giappone 1 - 2
Polonia - Senegal 1 - 2
Lucianone
Tutti i risultati fino
ad oggi, mercoledì 20 giugno 2018
Gruppo A
Russia - Arabia Saudita 5 - 0
Egitto - Uruguay 0 - 1
Russia - Egitto 3 - 1
Uruguay - Arabia S. 1 - 0
Gruppo B
Marocco - Iran 0 - 1
Portogallo - Spagna 3 - 3
Portogallo - Marocco 1 - 0
Iran . Spagna 0 - 1
Gruppo C
Francia - Australia 2 - 1
Perù - Danimarca 0 - 1
Gruppo D
Argentina - Islanda 1 - 1
Croazia - Nigeria 2 - 0
Gruppo E
Costa Rica - Serbia 0 - 2
Brasile - Svizzera 1 - 1
Gruppo F
Germania - Messico 0 - 1
Svezia - Sud Corea 1 - 0
Gruppo G
Belgio - Panama 3 - 0
Tunisia - Inghilterra 1 - 2
Gruppo H
Colombia - Giappone 1 - 2
Polonia - Senegal 1 - 2
Lucianone
lunedì 18 giugno 2018
Società / LIbro - E se il 'mutualismo conflittuale-politico' fosse l'idea giusta, per il futuro?
18 giugno '18 - lunedì 18th June - Monday visione post - 18
(Da
il manifesto - 2 giugno'18 . culture / Roberto Ciccarelli)
Mutualismo è un concetto ricorrente nell'ultimo quinquennio. Salvatore Cannavò lo
riporta alla realtà storica, momento germinale del movimento operaio e anarchico, e
ne mostra l'attualità con una serrata rassegna delle esperienze italiane e internazionali,
più o meno riuscite. Scritto da un ex parlamentare di Rifondazione Comunista, fonda-
tore della corrente di Sinistra Critica, prima vice-direttore di Liberazione, oggi lavora
al Fatto Quotidiano, il libro Mutualismo, Ritorno al futuro per la sinistra (Alegre, pp.
191, euro 15) è un libro esigente che non fa sconti alla parte dell'autore.
Inizia raccontando il tempo dell'ultimo governo Prodi 2006-2008. Dall'opposizione in-
terna alla Rifondazione di Bertinotti, Cannavò scrive: "Avevamo ragione a dire che
abbandonare il movimento no-global per allearsi con Clemente Mastella avrebbe con-
dotto la sinistra alla disfatta; ragione nello spiegare ai governi di centro-sinistra che a
furia di fare le politiche di destra avrebbe vinto non solo la destra, ma quella più estre-
ma". Certo "avere avuto ragione, però, non consola"., da Genova in poi,
In un ventennio, da Genova in poi, si è esaurita la ricerca di una società "altra". Il
"sociale" è diventato un vicolo cieco quanto la ricerca di una "globalizzazione" equa
e giusta dall'alto. Oggi viviamo sul rovescio di quell'antica promessa, le istanze im-
maginarie del ritorno alla "nazione" e la saldatura con la "sovranità" sembrano ave-
re assorbito, e sconvolto, la critica al capitalismo globale.
Per uscire da questo labirinto Cannavò propone un'idea "conflittuale e politica" del
mutualismo. La precisazione è opportuna perchè in questa categoria si avverte il rischio
di giustificare l'esistente, fare da tappabuchi alla scomparsa del Welfare. Il mutualismo
sembra essere un'istanza risarcitoria, consolatoria e sussidiaria di un'istituzione pubbli-
ca che non c'è più. O, tutt'al più, un'integrazione al welfare aziendale. In queste condi-
zioni pensare che il mutualismo sia una via d'uscita è un'illusione. Cannavò denuncia
questo rischio. "Serve - scrive - un obiettivo di sistema" dove le esperienze di "autoge-
stione" - raccontate nel libro - "possano divenire strumenti per un ordine sociale diver-
so contro questo modo di produzione e i suoi poteri. Per farlo serve un mutualismo
conflittuale in senso anticapitalista. Cannavò lo descrive ripercorrendo il lavoro stori-
co che Pino Ferraris fece un quarto di secolo fa. E' una genealogia ricorrente, l'abbia-
mo riportata alla luce con Giuseppe Allegri nel Quinto Stato cinque anni fa. Un anno
dopo l'abbiamo ritrovata in Comune di Dardot e Laval. Nel frattempo è riemersa nei
discorsi di base e nelle reti già attive e ritorna in questo libro.
Cannavò fissa il movimento carsico in un concetto importante: l'auto-governo dell'es-
sere umano. L'autogestione non basta, è necessario affermare una politica democrati-
ca ampia. Non quella basata sulla delega al leader, nè sulla fusione mistica in un "po-
polo", ma sulla cooperazione, ovvero l'esercizio delle potenzialità dell'essere umano
con i suoi simili. Tale esercizio non è ip otecato da leggi superiori (il Bene, la Legge, il
Popolo) o dal Capitale. E' la sperimentazione delle possibilità generate dall'uso comu-
ne, e non proprietario, della vita; la creazione di una resistenza contro lo sfruttamento;
l'organizzazione di un'alternativa concreta e una critica attiva dell'alienazione.
Il mutualismo 2.0 sembra avere intercettato queste domande diffuse. Per que-
sto si torna a parlare di società di mutuo soccorso, cooperative aperte, reti di mercato
alternative, sindacati sociali, partiti a rete e federati su scala locale, nazionale e sovra-
nazionale. Una prospettiva che ricorda la Prima internazionale. La storia del mutuali-
smo antagonista ci ha trasmesso una tecnica di auto-difesa; una politica neo-comuni-
sta e non statale; cooperativa e non burocratica; di classe e non di "popolo"; federati-
va e non nazionalista; anti-sessista e anti-razzista. Un'impostazione fondamentale per
creare "condizioni", utile per organizzare una battaglia per il salario minimo e il red-
dito di base incondizionato, due tra gli obiettivi individuati nel libro, centrali in un mo-
mento politico dove entrambi sono stati riscoperti dal dibattito politico.
Nulla tuttavia è scontato, vista la frammentazione e l'identitarismo della "sinistra".
Ciò non toglie, conclude Cannavò, che bisogna mantenere alti gli obiettivi e "co-
struirli con lenta impazienza".
Lucianone
(Da
il manifesto - 2 giugno'18 . culture / Roberto Ciccarelli)
Mutualismo è un concetto ricorrente nell'ultimo quinquennio. Salvatore Cannavò lo
riporta alla realtà storica, momento germinale del movimento operaio e anarchico, e
ne mostra l'attualità con una serrata rassegna delle esperienze italiane e internazionali,
più o meno riuscite. Scritto da un ex parlamentare di Rifondazione Comunista, fonda-
tore della corrente di Sinistra Critica, prima vice-direttore di Liberazione, oggi lavora
al Fatto Quotidiano, il libro Mutualismo, Ritorno al futuro per la sinistra (Alegre, pp.
191, euro 15) è un libro esigente che non fa sconti alla parte dell'autore.
Inizia raccontando il tempo dell'ultimo governo Prodi 2006-2008. Dall'opposizione in-
terna alla Rifondazione di Bertinotti, Cannavò scrive: "Avevamo ragione a dire che
abbandonare il movimento no-global per allearsi con Clemente Mastella avrebbe con-
dotto la sinistra alla disfatta; ragione nello spiegare ai governi di centro-sinistra che a
furia di fare le politiche di destra avrebbe vinto non solo la destra, ma quella più estre-
ma". Certo "avere avuto ragione, però, non consola"., da Genova in poi,
In un ventennio, da Genova in poi, si è esaurita la ricerca di una società "altra". Il
"sociale" è diventato un vicolo cieco quanto la ricerca di una "globalizzazione" equa
e giusta dall'alto. Oggi viviamo sul rovescio di quell'antica promessa, le istanze im-
maginarie del ritorno alla "nazione" e la saldatura con la "sovranità" sembrano ave-
re assorbito, e sconvolto, la critica al capitalismo globale.
Per uscire da questo labirinto Cannavò propone un'idea "conflittuale e politica" del
mutualismo. La precisazione è opportuna perchè in questa categoria si avverte il rischio
di giustificare l'esistente, fare da tappabuchi alla scomparsa del Welfare. Il mutualismo
sembra essere un'istanza risarcitoria, consolatoria e sussidiaria di un'istituzione pubbli-
ca che non c'è più. O, tutt'al più, un'integrazione al welfare aziendale. In queste condi-
zioni pensare che il mutualismo sia una via d'uscita è un'illusione. Cannavò denuncia
questo rischio. "Serve - scrive - un obiettivo di sistema" dove le esperienze di "autoge-
stione" - raccontate nel libro - "possano divenire strumenti per un ordine sociale diver-
so contro questo modo di produzione e i suoi poteri. Per farlo serve un mutualismo
conflittuale in senso anticapitalista. Cannavò lo descrive ripercorrendo il lavoro stori-
co che Pino Ferraris fece un quarto di secolo fa. E' una genealogia ricorrente, l'abbia-
mo riportata alla luce con Giuseppe Allegri nel Quinto Stato cinque anni fa. Un anno
dopo l'abbiamo ritrovata in Comune di Dardot e Laval. Nel frattempo è riemersa nei
discorsi di base e nelle reti già attive e ritorna in questo libro.
Cannavò fissa il movimento carsico in un concetto importante: l'auto-governo dell'es-
sere umano. L'autogestione non basta, è necessario affermare una politica democrati-
ca ampia. Non quella basata sulla delega al leader, nè sulla fusione mistica in un "po-
polo", ma sulla cooperazione, ovvero l'esercizio delle potenzialità dell'essere umano
con i suoi simili. Tale esercizio non è ip otecato da leggi superiori (il Bene, la Legge, il
Popolo) o dal Capitale. E' la sperimentazione delle possibilità generate dall'uso comu-
ne, e non proprietario, della vita; la creazione di una resistenza contro lo sfruttamento;
l'organizzazione di un'alternativa concreta e una critica attiva dell'alienazione.
Il mutualismo 2.0 sembra avere intercettato queste domande diffuse. Per que-
sto si torna a parlare di società di mutuo soccorso, cooperative aperte, reti di mercato
alternative, sindacati sociali, partiti a rete e federati su scala locale, nazionale e sovra-
nazionale. Una prospettiva che ricorda la Prima internazionale. La storia del mutuali-
smo antagonista ci ha trasmesso una tecnica di auto-difesa; una politica neo-comuni-
sta e non statale; cooperativa e non burocratica; di classe e non di "popolo"; federati-
va e non nazionalista; anti-sessista e anti-razzista. Un'impostazione fondamentale per
creare "condizioni", utile per organizzare una battaglia per il salario minimo e il red-
dito di base incondizionato, due tra gli obiettivi individuati nel libro, centrali in un mo-
mento politico dove entrambi sono stati riscoperti dal dibattito politico.
Nulla tuttavia è scontato, vista la frammentazione e l'identitarismo della "sinistra".
Ciò non toglie, conclude Cannavò, che bisogna mantenere alti gli obiettivi e "co-
struirli con lenta impazienza".
Lucianone
venerdì 15 giugno 2018
Ultime notizie - dall'Italia e dal Mondo / Latest news
15 giugno '18 - venerdì 15th June / Friday visione post - 10
PARIGI e ROMA - questione profughi
Tregua Macron - Conte sui migranti / Eliseo contro Salvini: "Asse con Berlino e
Vienna? Ricorda triste passato" / Il ministro dell'Interno: "Non prendo lezioni
dalla Francia" / Trump: "Conte fantastico, linea dura su immigrazione paga".
ROMA - scandalo stadio
L'opa di Parnasi sul governo M5S - Lega
Al Carroccio versati 200 mila euro / Raggi un'ora in procura per vicenda Lanzalone
Stadio della Roma, indagato anche Malagò / Il presidente del Coni: "Questa storia non esiste".
STATI UNITI
Carcere per Manafort, capo campagna di Trump
Giudice federale revoca i domiciliari all'ex manager.
Lucianone
PARIGI e ROMA - questione profughi
Tregua Macron - Conte sui migranti / Eliseo contro Salvini: "Asse con Berlino e
Vienna? Ricorda triste passato" / Il ministro dell'Interno: "Non prendo lezioni
dalla Francia" / Trump: "Conte fantastico, linea dura su immigrazione paga".
ROMA - scandalo stadio
L'opa di Parnasi sul governo M5S - Lega
Al Carroccio versati 200 mila euro / Raggi un'ora in procura per vicenda Lanzalone
Stadio della Roma, indagato anche Malagò / Il presidente del Coni: "Questa storia non esiste".
STATI UNITI
Carcere per Manafort, capo campagna di Trump
Giudice federale revoca i domiciliari all'ex manager.
Lucianone
venerdì 8 giugno 2018
SPORT - Tennis / lI personaggio - L'addio della campionessa d'altri tempi: Roberta Vinci
8 giugno '18 - sabato 8th June / Saturday visione post - 16
(da la Repubblica - 13 maggio 2018 - Figurine / Enrico Sisti
Il saluto a Roberta e al suo tennis d'altri tempi
E' l'amore per il tennis che ti fa giocare bene, diceva. Forse è l'amore per il tennis
che l'ha convinta a lasciare, a 35 anni. Roberta/Robertina, quella che aveva iniziato al-
la chetichella con un cappellino in testa, che poi avrebbe sistemato in un cassetto per-
chè era ora di diventare grande e di guardare il mondo senza visiera. Non c'era più
niente da cui proteggersi: "Non avrò ripensamenti", ha ammesso ieri. Gli Internazio-
nali saranno l'ultimo torneo di Roberta/Robertina Vinci. Con quel cognome del resto
perdere più di tanto non poteva. Con quel talento "anticato", con quei colpi d'altri
tempi e con quel ritmo interiore che dalla vita lei trasferiva al campo, più di tanto
non poteva regalare sotto forma di punti. Dalla sua parte sinistra riusciva sempre a
spacciare un attacco per una difesa. Roberta è stata una provocatrice. Ha tramato per
accendere la giostra della felicità nel nostro tennis femminile. Anni irripetibili. Quat-
tro Fed Cup, cinque slam vinti in doppio con Sara Errani, dieci titoli Wta in singolare,
7a al mondo nel 2016, una passione sincera trasmessa e ricevuta su qualunque super-
ficie e ovunque. E sempre portando con sè quel tratto distintivo che le donava un non
so che di magico, di cosa preziosa, come se il tempo si fermasse ogni volta, forse anche
lui per ammirare la naturale completezza di quell'estetica così diversa dai deltoidi
sporgenti e dai servizi a 190 kmh delle sue colleghe. Roberta è stata unica: "Non so co-
sa farò, magari resterò nel tennis ad allenare i bambini nella mia Taranto". Una città
vissuta troppo poco. Forse questo è il suo unico rimpianto. Gli occhi e i pensieri, ragio-
nando di Roberta, vanno a quel giorno in cui sommersa, quasi schiacciata dallo stupo-
re del centrale più grande del mondo, l'Arthur Ashe di Flushing Meadows, disse:
"Scusatemi!". Aveva battuto in semifinale Serena Williams. L'immagine più bella del-
la sua vita. Qualche minuto prima, dopo un colpo meraviglioso, con lo sguardo eccita-
to chiedeva alla gente assiepata: "Adesso applaudite me!". La crisalide era diventata
farfalla davanti a tutti. E poi la finale con Flavia. in un derby pugliese che almeno per
un giorno rese New York più piccola della Little Italy di quella fantastica finale che
Roberta perse ma in fondo vinse, perchè Flavia e lei erano una cosa sola, venivano
dalla stessa terra, avevano condiviso i primi sorrisi e le prime racchette, perchè Fla-
via e lei sono la storia di uno sport che non aveva mai così tanto a lungo e così tanto
bene parlato italiano, alternando forza e delicatezza. E scendendo a rete in nome di
un intero paese. Per amore del tennis.
Lucianone
(da la Repubblica - 13 maggio 2018 - Figurine / Enrico Sisti
Il saluto a Roberta e al suo tennis d'altri tempi
E' l'amore per il tennis che ti fa giocare bene, diceva. Forse è l'amore per il tennis
che l'ha convinta a lasciare, a 35 anni. Roberta/Robertina, quella che aveva iniziato al-
la chetichella con un cappellino in testa, che poi avrebbe sistemato in un cassetto per-
chè era ora di diventare grande e di guardare il mondo senza visiera. Non c'era più
niente da cui proteggersi: "Non avrò ripensamenti", ha ammesso ieri. Gli Internazio-
nali saranno l'ultimo torneo di Roberta/Robertina Vinci. Con quel cognome del resto
perdere più di tanto non poteva. Con quel talento "anticato", con quei colpi d'altri
tempi e con quel ritmo interiore che dalla vita lei trasferiva al campo, più di tanto
non poteva regalare sotto forma di punti. Dalla sua parte sinistra riusciva sempre a
spacciare un attacco per una difesa. Roberta è stata una provocatrice. Ha tramato per
accendere la giostra della felicità nel nostro tennis femminile. Anni irripetibili. Quat-
tro Fed Cup, cinque slam vinti in doppio con Sara Errani, dieci titoli Wta in singolare,
7a al mondo nel 2016, una passione sincera trasmessa e ricevuta su qualunque super-
ficie e ovunque. E sempre portando con sè quel tratto distintivo che le donava un non
so che di magico, di cosa preziosa, come se il tempo si fermasse ogni volta, forse anche
lui per ammirare la naturale completezza di quell'estetica così diversa dai deltoidi
sporgenti e dai servizi a 190 kmh delle sue colleghe. Roberta è stata unica: "Non so co-
sa farò, magari resterò nel tennis ad allenare i bambini nella mia Taranto". Una città
vissuta troppo poco. Forse questo è il suo unico rimpianto. Gli occhi e i pensieri, ragio-
nando di Roberta, vanno a quel giorno in cui sommersa, quasi schiacciata dallo stupo-
re del centrale più grande del mondo, l'Arthur Ashe di Flushing Meadows, disse:
"Scusatemi!". Aveva battuto in semifinale Serena Williams. L'immagine più bella del-
la sua vita. Qualche minuto prima, dopo un colpo meraviglioso, con lo sguardo eccita-
to chiedeva alla gente assiepata: "Adesso applaudite me!". La crisalide era diventata
farfalla davanti a tutti. E poi la finale con Flavia. in un derby pugliese che almeno per
un giorno rese New York più piccola della Little Italy di quella fantastica finale che
Roberta perse ma in fondo vinse, perchè Flavia e lei erano una cosa sola, venivano
dalla stessa terra, avevano condiviso i primi sorrisi e le prime racchette, perchè Fla-
via e lei sono la storia di uno sport che non aveva mai così tanto a lungo e così tanto
bene parlato italiano, alternando forza e delicatezza. E scendendo a rete in nome di
un intero paese. Per amore del tennis.
Lucianone
martedì 5 giugno 2018
Società - politica / EUROPA: la quasi fine di un sogno (e i paragoni con gli Usa)
5 giugno 2018 - martedì 5th June / Tuesday visione post - 17
( da la Repubblica - 23 maggio '18 - di Paul Krugman)
Se l'Europa ha smesso di sognare
Dovendo indicare dove e quando abbia trovato massima realizzazione il sogno umanitario,
ossia l'ideale di una società che garantisce un'esistenza dignitosa a tutti i suoi membri è giu-
sto citare l'Europa occidentale nei sessant'anni successivi alla Seconda guerra mondiale. E'
stato uno dei miracoli della storia: un continente devastato dalla dittatura, dal genocidio e
dalla guerra si è trasformato in un modello di democrazia e di prosperità ampiamente dif-
fusa. - Infatti nei primi anni di questo secolo gli europei sotto molti aspetti stavano meglio
di noi americani. A differenza nostra avevano l'assistenza sanitaria garantita e di conse-
guenza un'aspettativa di vita più alta; registravano tassi di povertà molto inferiori ai no-
stri e avevano effettivamente più prospettive di impiego retribuito all'inizio della carriera
lavorativa. Ora invece l'Europa è nei guai. Guai grossi. Come noi, del resto. Se è vero che
la democrazia è sotto assedio su entrambe le sponde dell'Atlantico, è anche probabile che,
nel caso, crolli prima qui da noi. Ma vale la pena di staccarci un attimo dal nostro incubo
trumpiano e di volgere lo sguardo alle disgrazie europee, alcune, ma non tutte paragonabi-
li alle nostre.
Molti dei problemi che affliggono l'Europa derivano dalla decisione, disastrosa, presa una generazione fa, di adottare la moneta unica. La nascxita dell'euro condusse a una tempora-
nea fase di euforia in cui Paesi come Spagna e Grecia furono inondati di denaro; poi la bol-
la scoppiò. I Paesi come l'Islanda, che avevano mantenuto la loro valuta, furono in grado
di riguadagnare rapidamente competitività svalutando la propria moneta. Le nazioni del-
l'eurozona, invece, furono costrette a subire una lunga fase di depressione, con tassi di
disoccupazione altissimi, lottando per ridurre la spesa pubblica.
La situazione peggiorò ulteriormente perchè l'élite sposò contro ogni evidenza la tesi secon-
do cui i problemi europei non derivavano dal disallineamento dei costi, bensì dallo sperpe-
ro delle finanze pubbliche, indicando come soluzione una rigida austerità, con il risultato
di aggravare la depressione. Alcuni Paesi vittima dell'eurocrisi, come la Spagna, sono riu-
sciti infine a riguadagnare faticosamente competitività. Altri invece no. La Grecia continua
a essere disastrata e l'Italia, una delle tre grandi economie rimaste nell'Unione europea, so-
no ormai vent'anni che soffre a vuoto: il Pil pro capite non supera oggi quello del 2000.
Non sorprende poi tanto quindi che alle elezioni di marzo in Italia abbiano trionfato i parti-
ti anti-Ue: il populista Movimento Cinque Stelle e la Lega, compagine di estrema destra. In
realtà sorprende che non sia successo prima. I due partiti ora sono impegnati a formare un
governo. Non è del tutto chiaro quali saranno le politiche di questo governo, ma senza dub-
bio comporteranno una rottura con il resto d'Europa su vari fronti: la revoca dell'austerità
di bilancio, che potrebbe sfociare nell'uscita dall'euro, nonchè misure restrittive nei con-
fronti degli immigrati e dei rifugiati. Nessuno sa come andrà a finire, ma gli sviluppi regi-
strati altrove in Europa costituiscono dei precedenti inquietanti. L'Ungheria è diventata
effettivamente un'autocrazia a partito unico, dominata da un'ideologia etnonazionalista.
La Polonia sembra ben avviata nella stessa direzione.
Cosa è andato storto rispetto al "Progetto europeo", il lungo cammino verso la pace, la
democrazia e la prosperità, sostenuto da un'integrazione politica ed economica sempre
più profonda? Come ho detto, l'enorme errore dell'euro ha avuto un gran peso. Ma in
Polonia, Paese che non ha mai aderito all'euro e si è barcamenato uscendo pressochè in-
colume dalla crisi economica, la democrazia sta crollando lo stesso.del
Vorrei dire però che ci sono dei retroscena più ampi. In Europa sono sempre esistite del-
le forze occulte (come da noi). Alla caduta del muro di Berlino un politologo di mia co-
noscenza fece una battuta: "Ora che l'Europa dell'Est è libera dall'ideologia estranea
del comunismo, può tornare al suo vero corso il fascismo". Sapevamo entrambi che ave-
va ragione. A tenere a bada queste forze occulte era il prestigio dell'élite europea legata
ai valori democratici. Ma quel prestigio è andato in fumo per via del malgoverno, e ad
aggravare il danno è stato il rifiuto di guardare in faccia la realtà. Il governo ungherese
ha voltato le spalle a tutti i valori europei, ma continua a ricevere aiuti su larga scala da
Bruxelles. E qui, mi sembra, sono evidenti i paralleli con la situazione in America.
E' vero, noi non siamo stati vittima di un disastro paragonabile all'euro (abbiamo sì una
estesa al continente, ma disponiamo di istituzioni finanziarie e bancarie federali che la
rendono funzionale). Le nostre élite "moderate" però, quanto a valutazioni sbagliate,
sono paragonabili alle loro controparti europee. Non va dimenticato che nel 2010-11,
quando gli Usa erano ancora vittima della disoccupazione di massa, la maggior parte
dell'establishment conservatore, a Washington, era ossessionato, pensate un pò, dalla
riforma previdenziale.
Nel frattempo i nostri moderati, assieme a gran parte dei mezzi di informazione osses-
sionati dalla par condicio, per anni si sono rifiutati di ammettere che il Partito repub-
blicano si è radicalizzato. Così oggi l'America si ritrova governata da un partito che
nutre nei confronti delle regole democratiche e dello stato di diritto scarso rispetto
quanto Fidesz in Ungheria. Il fatto è che i guai dell'Europa fondamentalmente sono
gli stessi dell'America. E in entrambi i casi il cammino verso il riscatto sarà molto,
molto arduo.
Paul Krugman
è un economista statunitense; insegna alla City University of New York. Ha vinto il
premio Nobel per l'Economia nel 2008. Collabora con il "New York Times" dal 1999.
Lucianone
( da la Repubblica - 23 maggio '18 - di Paul Krugman)
Se l'Europa ha smesso di sognare
Dovendo indicare dove e quando abbia trovato massima realizzazione il sogno umanitario,
ossia l'ideale di una società che garantisce un'esistenza dignitosa a tutti i suoi membri è giu-
sto citare l'Europa occidentale nei sessant'anni successivi alla Seconda guerra mondiale. E'
stato uno dei miracoli della storia: un continente devastato dalla dittatura, dal genocidio e
dalla guerra si è trasformato in un modello di democrazia e di prosperità ampiamente dif-
fusa. - Infatti nei primi anni di questo secolo gli europei sotto molti aspetti stavano meglio
di noi americani. A differenza nostra avevano l'assistenza sanitaria garantita e di conse-
guenza un'aspettativa di vita più alta; registravano tassi di povertà molto inferiori ai no-
stri e avevano effettivamente più prospettive di impiego retribuito all'inizio della carriera
lavorativa. Ora invece l'Europa è nei guai. Guai grossi. Come noi, del resto. Se è vero che
la democrazia è sotto assedio su entrambe le sponde dell'Atlantico, è anche probabile che,
nel caso, crolli prima qui da noi. Ma vale la pena di staccarci un attimo dal nostro incubo
trumpiano e di volgere lo sguardo alle disgrazie europee, alcune, ma non tutte paragonabi-
li alle nostre.
Molti dei problemi che affliggono l'Europa derivano dalla decisione, disastrosa, presa una generazione fa, di adottare la moneta unica. La nascxita dell'euro condusse a una tempora-
nea fase di euforia in cui Paesi come Spagna e Grecia furono inondati di denaro; poi la bol-
la scoppiò. I Paesi come l'Islanda, che avevano mantenuto la loro valuta, furono in grado
di riguadagnare rapidamente competitività svalutando la propria moneta. Le nazioni del-
l'eurozona, invece, furono costrette a subire una lunga fase di depressione, con tassi di
disoccupazione altissimi, lottando per ridurre la spesa pubblica.
La situazione peggiorò ulteriormente perchè l'élite sposò contro ogni evidenza la tesi secon-
do cui i problemi europei non derivavano dal disallineamento dei costi, bensì dallo sperpe-
ro delle finanze pubbliche, indicando come soluzione una rigida austerità, con il risultato
di aggravare la depressione. Alcuni Paesi vittima dell'eurocrisi, come la Spagna, sono riu-
sciti infine a riguadagnare faticosamente competitività. Altri invece no. La Grecia continua
a essere disastrata e l'Italia, una delle tre grandi economie rimaste nell'Unione europea, so-
no ormai vent'anni che soffre a vuoto: il Pil pro capite non supera oggi quello del 2000.
Non sorprende poi tanto quindi che alle elezioni di marzo in Italia abbiano trionfato i parti-
ti anti-Ue: il populista Movimento Cinque Stelle e la Lega, compagine di estrema destra. In
realtà sorprende che non sia successo prima. I due partiti ora sono impegnati a formare un
governo. Non è del tutto chiaro quali saranno le politiche di questo governo, ma senza dub-
bio comporteranno una rottura con il resto d'Europa su vari fronti: la revoca dell'austerità
di bilancio, che potrebbe sfociare nell'uscita dall'euro, nonchè misure restrittive nei con-
fronti degli immigrati e dei rifugiati. Nessuno sa come andrà a finire, ma gli sviluppi regi-
strati altrove in Europa costituiscono dei precedenti inquietanti. L'Ungheria è diventata
effettivamente un'autocrazia a partito unico, dominata da un'ideologia etnonazionalista.
La Polonia sembra ben avviata nella stessa direzione.
Cosa è andato storto rispetto al "Progetto europeo", il lungo cammino verso la pace, la
democrazia e la prosperità, sostenuto da un'integrazione politica ed economica sempre
più profonda? Come ho detto, l'enorme errore dell'euro ha avuto un gran peso. Ma in
Polonia, Paese che non ha mai aderito all'euro e si è barcamenato uscendo pressochè in-
colume dalla crisi economica, la democrazia sta crollando lo stesso.del
Vorrei dire però che ci sono dei retroscena più ampi. In Europa sono sempre esistite del-
le forze occulte (come da noi). Alla caduta del muro di Berlino un politologo di mia co-
noscenza fece una battuta: "Ora che l'Europa dell'Est è libera dall'ideologia estranea
del comunismo, può tornare al suo vero corso il fascismo". Sapevamo entrambi che ave-
va ragione. A tenere a bada queste forze occulte era il prestigio dell'élite europea legata
ai valori democratici. Ma quel prestigio è andato in fumo per via del malgoverno, e ad
aggravare il danno è stato il rifiuto di guardare in faccia la realtà. Il governo ungherese
ha voltato le spalle a tutti i valori europei, ma continua a ricevere aiuti su larga scala da
Bruxelles. E qui, mi sembra, sono evidenti i paralleli con la situazione in America.
E' vero, noi non siamo stati vittima di un disastro paragonabile all'euro (abbiamo sì una
estesa al continente, ma disponiamo di istituzioni finanziarie e bancarie federali che la
rendono funzionale). Le nostre élite "moderate" però, quanto a valutazioni sbagliate,
sono paragonabili alle loro controparti europee. Non va dimenticato che nel 2010-11,
quando gli Usa erano ancora vittima della disoccupazione di massa, la maggior parte
dell'establishment conservatore, a Washington, era ossessionato, pensate un pò, dalla
riforma previdenziale.
Nel frattempo i nostri moderati, assieme a gran parte dei mezzi di informazione osses-
sionati dalla par condicio, per anni si sono rifiutati di ammettere che il Partito repub-
blicano si è radicalizzato. Così oggi l'America si ritrova governata da un partito che
nutre nei confronti delle regole democratiche e dello stato di diritto scarso rispetto
quanto Fidesz in Ungheria. Il fatto è che i guai dell'Europa fondamentalmente sono
gli stessi dell'America. E in entrambi i casi il cammino verso il riscatto sarà molto,
molto arduo.
Paul Krugman
è un economista statunitense; insegna alla City University of New York. Ha vinto il
premio Nobel per l'Economia nel 2008. Collabora con il "New York Times" dal 1999.
Lucianone
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