sabato 5 marzo 2016

SOCIETA' e politica / Svezia - Diritti e dialogo in difesa dei più deboli

5 marzo '16 - sabato                  5th March / Saturday                             visione post - 28

La ministra degli Esteri svedese, Margot Wallstròm, afferma:
"Dalla lotta per il disarmo ai no a Riad: ecco la mia sfida per 
una diplomazia in nome dei più deboli".

(la Repubblica - 19/10/2015 - L'intervista  / Andrea Tarquini - Stoccolma)
"Diritti e dialogo, così in Svezia
il femminismo etico è andato al potere"
"Io sono pragmatica, punto ai risultati nella diplomazia internazionale. Ma credo in un
nuovo approccio, etico e neofemminista. Condizioni e diritti della donna sono barometro
e tornasole dei singoli paesi e del mondo, difenderli secondo me è nell'interesse strategi-
co svedese europeo e globale. Non temo chi sfido, anzi sfido per dialogare". Così Margot
Wallstròm, socialdemocratica, la coraggiosa, potentissima ministra degli Esteri svedese,
spiega il suo credo.  Sfida tutti: riconosce la Palestina, blocca contratti di miliardi per ar-
mi svedesi a Riad  in nome dei diritti umani  e  delle donne, annuncia il riconoscimento 
del Sahara  Occidentale, si batte per il disarmo e denuncia le provocazioni armate di Pu-
tin contro il pacifico regno. Elegantissima in abito pantalone nero e camicetta caffelatte,
parla nel suo studio  stile Luigi XIV  al ministero degli Esteri reale, leader segreta della 
potenza del nord, insieme a un team di donne che ha in pugno i dicasteri-chiave.
Nuova etica, femminismo in politica. Cosa significa?
"Insisto, prima di tutto pragmatismo: orientarsi a risultati efficaci. Ma senza mai tradire valori
e principi: in questo senso sono bifronte. Difendo gli interessi svedesi pensando che sono an-
che quelli del mondo globale.  Siamo qui  al governo  per cambiare la realtà, da superpotenza
del cuore, non per far carriera. Me lo dissi subito: dove voglio arrivare? Così lavorai alla Com-
missione europea e all'Onu: dandomi valori-guida. E imparando ad ascoltare tutti prima di de-
cidere: partiti, ong, sindacati, aziende, ogni voce dei paesi reali. Le priorità ascoltate dagli altri
fanno governare meglio. E' anche un credo femminista saper ascoltare".
Svolta rispetto al precedente governo conservatore?
"Qui vige  consenso bipertisan su molto: aiuto ai paesi poveri, cultura politica solidale, pacifi-
smo, europeismo convinto. Ma in 4 aree esistono differenze".
Quali?
"Primo, dobbiamo essere molto più attivi per la pace. La crisi russo-ucraina è top priority, ci
occorre una prospettiva a lungo termine, europea: investire sulle forze democratiche russe, e
ucraine, senza timore d'irritare nessuno. Poi la politica estera femminista".
Che significa?
Quando cominciai a parlarne molti sogghignarono. Invece è analisi lucida  della situazione
mondiale. Come sono trattate le donne, qual è il loro ruolo nelle società, dove c'è o no un'a-
genda o road map per i loro diritti all'eguaglianza, a studiare e lavorare, a fare economia e
politica estera, al futuro? Sono interrogativi-chiave per la sicurezza  e  la pace nel mondo.
Uno smart power femminile - nè hard nè soft power, uno smart power - è decisivo per far
andare avanti meglio il mondo. Nei diritti umani come nell'economia, dai paesi più ricchi
ai più poveri. La politica estera femminista è un metodo: diritti, rappresentanza, ruolo so-
ciale delle donne, sono chiavi per capire ogni situazione.   Senza le donne, la Tunisia del
Nobel non sarebbe una storia di successo. E in ogni guerra, la politica estera femminista
è uno strumento per capire meglio, decidere, agire. Dove le donne sono maltrattate o di-
scriminate - loro, metà della popolazione e spesso spina dorsale della stabilità sociale -
di solito bvengono calpestati i diritti umani e sprecate le qualità di metà del cielo, a dan-
no di ogni individuo, dell'economia, della società. La politica estera femminista è più ef-
ficiente, nell'interesse di tutti. Per questo qui offriamo training per future donne-negozia-
trici e leader di tutto il mondo".
Col suo no alle armi a Riad, a causa  delle violazioni di diritti umani  e  discriminazione 
delle donne, ha sfidato anche l'industria militare svedese: duro?
"Sono una pacifista pragmatica. Noi democrazia neutrale abbiamo un'importante industria
militare, io ho approvato un aumento in corsa delle spese per la Difesa pensando alle con-
tinue provocazioni russe, ai nostri piloti che quasi ogni giorno decollano su allarme con i
loro piccoli caccia Gripen contro i bombardieri atomici. Ma ci guida un principio: espor-
tiamo armi solo a paesi democratici e non aggressivi. Con i sauditi dopo certe parole con-
tro di me che preferisco ignorare ci siamo parlati, abbiamo concordato di dissentire. Con
una linea dura in nome di valori si può riuscire a continuare il dialogo".
Dialogare senza rinunciare a valori e principi?
"Mai dal 1945 abbiamo tanti conflitti come nel mondo multipolare di oggi: una quarantina,
di cui almeno 11 guerre combattute. Sempre più scontri accesi da fattori religiosi, etnici o
d'identità, e tentazioni di corsa all'arma atomica. In questo mondo complesso, l'apparente
idealismo  di una pragmatica  politica estera femminista, quindi più pacifista e solidale, è
strumento diplomatico più indispensabile che mai. Sapendo che devi avere il coraggio di
incassare pugni o colpi bassi, e continuare a offrire con chiarezza estrema sui valori dialo-
go a governi, anche Iran o Turchia, a ong e società civili, ovunque. L'alternativa è soggia-
cere a interessi economici e militari o a superpotenze.

Lucianone

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