La politica del rigore si è dimostrata inefficace e anche
la sua base teorica si rivela sbagliata. E i governi europei
incominciano a trarne tutte le conseguenze.
LA FINE DI UN'IDEOLOGIA MORALISTA
CHE HA AGGRAVATO LA CRISI
(da la Repubblica - R2DIARIO / 16/05/2013 - Federico Rampini)
La parabola del pensiero unico neoliberista sta volgendo al termine, la sua fine consuma
anche l'ideologia dell'austerity. Eppure l'austerity ha cercato di accreditarsi - soprattutto
nella sua versione europea - come l'antidoto agli eccessi del liberismo. Meglio ancora. co-
me una forma di catarsi, di espiazione. E' un aspetto importante, che spiega la pervicacia
della Germania nell'applicare e imporre al resto d'Europa ricette disastrose che prolunga-
no la recessione. Spiega anche perchè interi pezzi dell'establishment europeo siano stati
soggiogati dall'austerity fino ad accettarla come verità suprema (salvo scoprire che "il
re è nudo". con la scoperta che la famosa soglia invalicabile del 90% di debito/Pil era
un errore di calcolo). - In partenza, i tedeschi furono tra i primi a mettere sotto accusa il neoliberismo, come causa della crisi del 2008. Videro in quel disastro sistemicon della fi-
nanza mondiale, scatenato da Wall Street, la condanna della "economia del debito". E
avevano ragione in quel contesto. I mutui subprime furono il fattore dirompente. Quei
mutui "scadenti" (questa la traduzione più sincera) erano tali perchè concessi a fami-
glie già troppo indebitate, o dai redditi palesemente insufficienti per ripagare le rate.
Elargendo con facilità credito a tutti, Wall Street aveva inventato un by-pass finanzia-
rio per risolvere un gigantesco problema sociale: la dilatazione patologica delle disegua-
glianze, l'impoverimento dei lavoratori e del ceto medio, il crollo della capacità di rispar-
mio delle famiglie, la difficoltà di accesso alla prima casa. Il SISTEMA poteva funzionare
finchè la bolla speculativa faceva lievitare il valore degli immobili; le famiglie sovrainde-
bitate potevano sempre sperare di rivendere la casa per ripagare i debiti. I banchieri, dal
canto loro, si erano apparentemente immunizzati dal rischio, frazionando e cartolarizzan-
do i loro crediti, spalmando il rischio sui mercati e sugli investitori.
Quando il castello di carte è crollato è stato giusto puntare il dito contro "la cultura del
debito facile". Questa cultura made in Usa , si era avvalsa dell'ideologia liberista: la con-
vinzione cioè che i mercati stessi avevano la capacità di autoregolarsi. Uno dei massimi
guru di quel pensiero unico fu Alan Greenspan, presidente della Federal Reserve duran-
te l'Età dell'Oro (Clinton-Bush), il quale aveva sempre snobbato gli allarmi sulle bolle
speculative e debitorie, perchè convinto che i mercati nel loro perfetto equilibrio erano
già in grado di calcolare il rischio, di proteggersi, di ritrovare un equilibrio naturale.
Dopo il 2008, è dalla Germania che sono giunte alcune delle requisitorie più spietate
contro l'americanizzazione della finanza, l'esportazione della cultura del debito facile
verso paesi tanto diversi come l'Irlanda o la Spagna. A ragione la Germania di Angela
Merkel stabilì nelle sue diagnosi un nesso forte tra il fenomeno sub-prime e l'altra di-
mensione dei debiti: la tendenza degli Stati Uniti ad accumulare deficit commerciali
e passività con il resto del mondo (soprattutto le potenze esportatrici come Cina, Giap-
pone, Germania). L'abitudine, cioè, degli Stati Uniti di "vivere al di sopra dei propri
mezzi". - Da quel momento in poi, la Germania si è convinta della propria superiori-
tà morale, oltre che economica. La sua visione etica, sulle virtù della parsimonia, è
diventata un lasciapassare per reintrodurre nel senso comune una vecchia versione
del liberismo. Lo chiamano 'ordo-liberalismus', ha avuto radici profonde nel mondo
germanico. Somiglia all'ideologia che professava Herbert Hoover , presidente ame-
ricano nel crac del 1929. Hoover non era un mostro insensibile alle sofferenze dei
disoccupati. Provò ad attivare alcune leve dello Stato per attutire i colpi della Gran-
de Depressione. Era però fermamente convinto che l'America dovesse "purgarsi"
per gli eccessi del periodo precedente (The Gilded Age, l'Età del Jazz, querlla del
Grande Gatsby): debiti, bolle speculative, eccesso dei consumi. Una visione mora-
listica dell'economia, insieme con la fiducia nelle capacità autoregolatrici del mer-
cato, conducevano a pensare che "sette anni di vacche magre" dovessero biblica-
mente castigare il troppo benessere dell'era precedente. A questo si aggiungeva
una fede dalle tinte moralistiche, sulle virtù del pareggio di bilancio.
ripresa Usa dura ormai da tre anni. Genera posti di lavoro a unra temibile.
L'AMERICA DIMOSTRA CHE DIVINCOLARSI DAL PENSIERO UNICONEO-LIBERISTA - anche nelle sue varianti moralistico puritane - E' IL PASSAG-
GIO OBBLIGATO PER INIZIARE A RIPARARE L'ENORME DISASTRO SOCIALE.
Obama ha aggiornato la lezione di John Maynard Keynes, l'unico pensiero forte
non-autoritario generato dagli anni Trenta: prima bisogna rilanciare la crescita,
ad ogni costo (il "costo" di Obama: un deficit/Pil oltre il 10% durante il periodo
più buio della recessione, 2009/2010). Quando l'economia torna a generare lavo-
ro, il risanamento dei conti pubblici è più facile: lo dimostra il calo del debito
pubblico Usa, in atto per la prima volta dal 2007, trainato dall'aumento del get-
tito fiscale. Lo Stato è anche, nella dottrina Obama, il catalizzatore di una nuo-
va stagione di innovazione: dalla Green Economy alla rifondazione dei nostri
sistemi educativi.
Il modello California, il più grosso degli Stati Uniti ad avere raggiunto il pareg-
gio di bilancio aumentando le tasse sui ricchi, dimostra questo anti-dogma, l'an-
tidoto al neoliberismo: lo sviluppo riparte solo se il potere d'acquisto viene diffu-
so nei ceti più numerosi, classi lavoratrici e ceto medio, la cui sofferenza è la
prova di un fallimento storico delle politiche gemelle. Austerity e neoliberismo
affondano abbracciate insieme.
SILLABARIO / post-austerity
I miti peggiori sono che l'austerità porterà alla ripresa e che un aumento
della spesa governativa non lo farà. Il ragionamento è che il mondo degli
affari, vedendo i conti del governo più in ordine, sarà più fiducioso e che
tale aumento di fiducia porterà a maggiori investimenti.
E' interessante notare come, in base a questo ragionamento, chi lo sostie-
ne dovrebbe appoggiare la nostra prima strategia per la ripresa economica.
aumentare l'investimento pubblico. Poichè vi sono opportunità di investi-
mento pubblico ampiamente riconosciute quali fonti di ritorno attesi ele-
vati, ben più elevati del tasso di interesse che il governo deve pagare per
prendere a prestito il denaro, un maggiore investimento pubblico porte-
rebbe nel lungo periodo a un debito pubblico inferiore: e la convinzione
che sarebbe così dovrebbe instillare fiducia, portando a un'esplosione di
attività economica.
JOSEPHE STIGLITZ
Le tappe della crisi economica
1. - Nel 2007-2008 esplode la crisi dei mutui subprime negli Usa.
Nel 2010 L'europa viene travolta dalla crisi del debito.
2. - Irlanda, Portogallo e soprattutto Grecia sono i Paesi più
colpiti dalla crisi. Vengono salvati dall'Ue che impone l'austerity.
3. - Anche l'Italia va in crisi e rischia il fallimento. Cade il go-
verno Berlusconi, arriva Monti che approva dure politiche di rigore
con la cosiddetta "cura Monti".
4: - Cresce il numero di economisti e capi di governo che chiedono
la fine dell'austerity imposta dalla germania di Merkel.
John Maynard Keynes
'Il momento giusto per le politiche di austerità
è l'espansione, non la recessione'.
(Lettera al Presidente Roosevelt, 1937)
Enrico Berlinguer
'L'austerità deve avere come scopo giustizia, efficienza,
ordine e una moralità nuova'
(Austerità: occasione per trasformare l'Italia, 1977)
Lucianone
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