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"Noi trentenni senza certezze
dovremmo ribellarci di più"
(da la Repubblica - 24/02/'17 - Milano/Cultura - Annarita Briganti)
La precarietà non si sconfigge nemmeno con le bombe, non nell'Italia dei trentenni di
oggi, raccontati da Raffaella Silvestri. Milanese, trentadue anni, scoperta dal talent per
scrittori "Masterpiece", andato in onda qualche anno fa su Rai Tre. Silvestri pubblica
ora il suo secondo romanzo, La fragilità delle certezze (Garzanti), che, fin dal titolo, non
garantisce nulla per i suoi coetanei. - Anna, Teo e Marcello avviano una startup di
successo, una società, gestita da loro tre, che fa consulenze finanziarie ai piccoli rispar-
miatori. Stessa generazione dell'autrice, in una Milano che offre ancora qualche possi-
bilità, i tre scelgono però un campo minato, come sappiamo dalla crisi che non si è an-
cora esaurita, e il destino della loro impresa appare segnato fin dall'inizio, con conse-
guenti sconvolgimenti anche nella relazione che c'è tra loro.
Silvestri, perchè la startup dei suoi protagonisti non ha a che fare con il digitale?
- "Come usiamo i risparmi dice molto del nostro Paese. Ho vissuto tre anni all'estero,
in Inghilterra. Lì aprono un finanziamento anche per iscriversi in palestra. Noi italia-
ni, nonostante la crisi, restiamo un popolo di grandi risparmiatori. I tre trentenni del
mio libro si vantano di anon appartenere a nessun istituto di credito, di essere consu-
lenti indipendenti. Se gli investimenti dei loro clienti vanno bene, ci guadagnano tutti.
Sognano una finanza etica, ma, a giudicare da come andrà a finire la loro storia, for-
se è impossibile. I soldi, anche pochi, corrompono".
Un mondo, quello dell'economia, che lei conosce bene. Perchè a Masterpiece era la
"manager"?
"Ho lavorato per L'Oréal, facendo anche carriera, ma dopo quattro anni sono 'scop-
piata'. Scrivevo e leggevo come una disperata, forse in modo compulsivo. A un certo
punto, ho chiesto un'aspettativa, ma non me l'hanno data, e mi sono licenziata, per
dedicarmi alla scrittura. Il programma televisivo mi è servito per pubblicare il mio
primo romanzo, ma mi sono ritrovata a interpretare un ruolo. Non è che perchè vie-
ni da un'azienda sei un manager e cos'è un manager? Hanno fatto bene a non rifar-
lo, non funzionava".
Come si sopravvive alla precarietà?
"Anna si ottunde con le medicine, usando in modo improprio gli antidolorifici. E fre-
quenta un uomo di vent'anni più grande di lei, il simbolo di una generazione nei con-
fronti della quale ce l'ho un pò: i 'baby boomers', quelli che hanno avuto tutto facil-
mente, si sono presi tutto e se lo sono tenuto. La giovane donna è il simbolo di tutti
quelli che fanno fatica nella vita, che non sono nati con la camicia".
L'ambientazione meneghina rappresenta le "certezze' evocate nel titolo?
"Milano è come un tram: sai che ci puoi salire sopra, quando vuoi. La trovo rassicu-
rante, ci sono sempre facce in giro, si respira molta vita. Chi si ferma è perduto, in
una città più accelerata rispetto al resto dell'Italia, dove le cose succedono prima.
Ma vedo troppa rassegnazione nei miei coetanei, che a volte usano l'essere precari
come un alibi, per non cambiare la loro esistenza. Dovremmo arrabbiarci un pò di
più, ribellarci alle promesse non mantenute. Far succedere sempre qualcosa, dal
basso. Poi, sta a ognuno di noi individuare cosa. Comunque vada, almeno, ci abbia-
mo provato".
Lucianone
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