mercoledì 18 maggio 2016

Scienze / tecnologia - L'era pre-Internet con le sue implicazioni e l'influenza di Internet sui nostri cervelli

18 maggio '16 - mercoledì               18th May / Wednesday                 visione post - 33


(da il Corriere della Sera - 16/04/'16 - di Matteo Persivale)
La memoria corta
Come è possibile che tanti gruppi pop diventino famosi per una canzone o due e poi
svaniscano nel nulla, senza lasciare più traccia di sè? Nel 1974 una giovane autostop-
pista inglese che si autodefiniva "poetessa freelance", incontrata per caso in un bar
africano, spiegò allo scrittore americano George Plimpton che tutte quelle band spa-
rivano per colpa delle chitarre elettriche. Con gli amplificatori e i cavi ad alta tensio-
ne evidentemente i musicisti restavano fulminati, suonando. E per questo, ipotizza-
va lei, scomparivano. Quella giovane hippie, pur così fantasiosa, non poteva imma-
ginare che  oltre quarant'anni dopo  una tecnologia molto più sofisticata  avrebbe 
fatto più o meno la stessa cosa: non cancellando dalla memoria solo le band che non
fanno più canzoni di successo, ma tutto quello che è successo prima dell'arrivo della
rivoluzione digitale.  -  L'ultimo indizio? "American Crime Story" (in Italia su FX),
il telefilm  dedicato  al processo  al campione di football O.J. Simpson, avvenuto nel 
1995, è stato negli Stati Uniti un successone a sorpresa: per il pubblico più giovane 
non era il replay di una cosa già vissuta (come temuto dai produttori) ma una novi- 
tà, un fatto del 1995  sconosciuto  ai nativi digitali perchè, semplicemente, avvenuto
nell'era pre-Internet (allora non era un fenomeno di massa). Un successo che ha fat-
to sì che la celebre serie di telefilm polizieschi "Law & Order"  ora lanci "Law & Or-
der True Crime", i veri delitti degli anni 90 e 80 trasformati in fiction, inediti per una
parte molto appetibile (per gli inserzionisti) del pubblico, quella più giovane.
Come mai? Da una parte, ci spiegano i neurologi, la tecnologia digitale e, soprattutto,
la portabilità di Internet (grazie agli smartphone)  abbinata ai sempre  più pervasivi
social media, ha cambiato i nostri cervelli. E' la neuroplasticità, l'abilità del cervello 
di ristrutturarsi influenzato da determinati stimoli:  Internet  ha cambiato la nostra
soglia di attenzione in un modo che fino a vent'anni fa era riservato soltanto a certe
professioni ben precise - i controllori di volo, per esempio, pionieri del multitasking
"spalmando" il tempo del turno lavorativo  in una sorta di "presente continuo"  nel
quale gestire tutto quel traffico aereo, quelle decine di migliaia di vite umane, lassù. 
Nicholas Carr (Internet ci rende stupidi? Come la rete sta cambiando il nostro cervel-
lo, Cortina editore) spiega come ormai "noi vogliamo essere interrotti, perchè ogni
nuova interruzione ci porta un nuovo frammento d'informazione... Chiediamo a In-
ternet di interromperci costantemente, in modi sempre nuovi. Accettiamo, coscienti 
di farlo, la perdita di concentrazione  e  di capacità di mettere a fuoco un solo argo-
mento, la divisione della nostra attenzione  e la frammentazione dei nostri pensieri
in cambio dell'abbondanza di informazioni - interessanti o quantomeno capaci  di
attrarre la nostra attenzione - che riceviamo.  Staccare la spina  è un'opzione  che 
molti di noi non sarebbero neppure disposti a prendere in considerazione".
Carr presenta studi scientifici che indicano come il multitasking non sia equivalen-
te alla complessità alla quale avevamo abituato - con fatica - i nostri cervelli negli
anni giovanili se siamo nati prima della rivoluzione digitale. Per i nativi digitali in-
vece questa realtà - mediatica e, come abbiamo visto, neurologica - è  l'unica  alla
quale siano mai stati abituati (il massmediologo della New York University Clay
Shirky chiama questa situazione "il deperimento dei filtri").
In Technopoly. La resa della cultura alla tecnologia (Bollati Boringhieri), scritto
in tempi non sospetti (quando Internet non era ancora un fenomeno di massa)
Neil Postman avvertiva  di un fenomeno  ripetuto  attraverso  millenni di storia
umana: ogni volta che l'homo sapiens ha costruito uno strumento - il fuoco tenu-
to sotto controllo, gli orologi, l'elettricità, le automobili, i cellulari - quello stru-
mento è diventato la nostra nuova realtà, e per quello strumento rivoluzionario
abbiamo adattato le nostre vite, e la nostra economia. - Oltre alla questione del-
la neuroplasticità c'è quella, ancora più delicata, del senso del tempo: ora che il
futuro tecnologico è arrivato viviamo in un "presente continuo", apparentemen-
te destinato a continuare per sempre perchè la costante interruzione dei media
digitali la tradizionale "narrativa temporale", come la chiamano  i massmedio-
logi, è scomparsa  in nome  di un "presente continuo"   tenuto   costantemente 
"acceso" da un nuovo stimolo, un nuovo post di Facebook, un nuovo tweet,  e 
una nuova immagine da postare - o da "like-are" - su Instagram. Con gli algo-
ritmi di Google che mettono a nostra disposizione lo scibile umano, dai Sume-
ri alle foto di gstti, collegati nello stesso identico modo, senza gerarchia - con
gli hyperlink.  La tecnologia che ci permette di avere il controllo di spazi con-
cettuali diversi allo stesso tempo ha frammentato la nostra attenzione ma so-
prattutto il nostro tempo: utilizzando i nostri  gadget tecnologici  non siamo
nel momento "presente" come lo concepivamo una volta, ma occupiamo si-
multaneamente vari spazi concettuali, frammenti che semplicemente avven-
gono nello stesso momento, ci dice Douglas Rushkoff nel suo saggio "Presente
continuo. Quando tutto accade ora", Codice editore.

Lucianone

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