Internet ha bisogno di una propria Costituzione. Perchè?
A 25 anni dalla nascita il web necessita di garanzie che lo
mettano al riparo dalle violazioni alla sua libertà.
(da 'la Repubblica' - 15/03/2014 . R2Cultura / Stefano Rodotà)
'Internet, il più grande spazio pubblico che l'umanità abbia conosciuto, la rete che avvolge
l'intero pianeta, non ha sovrano'. Nel 1996, John Perry Barlow apriva così la sua Dichiara-
zione d'indipendenza del Cyberspazio. Questa affermazione orgogliosa riflette il sentire di
un mondo, di una sterminata platea in continua crescita fino agli attuali oltre due miliardi
di persone, che si identifica con una invincibile natura di Internet, libertaria fino all'anar-
chia, coerente con il progetto di dar vita a una rete di comunicazione che nessuno potesse
bloccare o controllare. Ma è pure un'affermazione che ha dovuto subire le dure repliche
da una realtà nella quale non solo Internet è variamente oggetto di regolazione, ma soprat-
tutto conosce violazioni continue di quello statuto di libertà che si riteneva poter essere af-
fidato alla propria , esclusiva virtù salvifica. Perciò è venuto il tempo non di regole costrit-
tive, ma dell'opposto, di garanzie costituzionali per i diritti della rete e in rete. Ma il raffor-
zamento istituzionale della libertà in questa sua nuova dimensione non può valere solo
contro l'invadenza degli Stati. Deve proiettarsi anche verso i nuovi "signori dell'informa-
zione" che, attraverso le gigantesche raccolte di dati, governano le nostre vite. Proprio il
modo d'essere di questi soggetti - si chiaqmino Apple o Amazon. Google o Microsoft, Fa-
cebook o Yahoo! - ci racconta una compresenza di opportunità per la libertà e la democra-
zia e di potere sovrano esercitato senza controllo sulle vite di tutti. Non un Giano bifron-
te, però, ma un intreccio che può essere sciolto solo da una iniziativa "costituzionale" an-
ch'essa nuova, che trovi proprio nella rete le sue modalità di costruzione.
Un esempio può essere ritrovato nella vicenda dell' Internet Bill of Rights, una proposta
maturata all'interno delle iniziative dell'Onu sulla società dell'informazione e che si è venu-
ta consolidando attraverso il lavoro di diversi gruppi, dynamic coalitions spontanee e infor-
mali che hanno poi trovato forme di unificazione e metodi comuni, che si sono manifesta-
ti negli Internet Governance Forum promossi in questi anni proprio dall'Onu. La scelta del-
l'antica formula del Bill of Rights ha forza simbolica, mette in evidenza che non si vuole li-
mitare la libertà in rete ma, al contrario, mantenere le condizioni perchè possa continuare
a fiorire. Per questo servono garanzie "costituzionali". Ma, conformemente alla natura
della rete, il riconoscimento di principi e diritti non può essere calato dall'alto. Deve esse-
re il risuòltato di un processo, di una partecipazione larga di una molteplicità di soggetti
che possono intervenire in modo attivo, grazie soprattutto a una tecnologia che mette tut-
ti e ciascuno in grado di formulare progetti, di metterli a confronto, di modificarli, in defi-
nitiva di sottoporli a un controllo e una elaborazione comuni, di trasferire nel settore della
regolazione giuridica forme e procedure tipiche del "metodo wiki", dunque con progressi-
vi aggiustamenti e messe a punto dei testi proposti. Siamo così al di là di un altro schema
tradizionale , che contrappone percorsi bottom-up a quelli top-down. Si instaurano relazio-
ni tra pari, la costruzione diviene orizzontale. - Nel corso di questo processo si potrà ap-
prodare a risultati parziali, all'integrazione tra codici di autoregolamentazione e altre for-
me di disciplina; a normative comuni per singole aree del mondo, come dimostra l'Unione
europea, la regione del pianeta dove più intensa è la tutela di questi diritti; e come potreb-
be avvenire per materie dive è già stata raggiunta una maturità culturale e istituzionale,
come quella della protezione dei dati personali. Le obiezioni tradizionali - chi è il legislato-
re? quale giudice renderà applicabili i diritti proclamati? - appartengono al passato, non si
rendono conto che "la valanga dei diritti umani sta travolgendo le ultime trincee della so-
vranità statale", come ha scritto Antonio Cassese.
fuori, ma contrinuiscono a una impresa di rinnovamento che, al tempo stesso, può muta-
re o rafforzare-il loro ruolo. L'Onu si presenta come punto di riferimento per un mondo
che si struttura proprio per cogliere una occasione da essa offerta. Il Parlamento euro-
peo prende atto di una iniziativa non istituzionalizzata, e fa esplicito riferimento all'In-
ternet Bill of Rights in una risoluzione del 2011.
Stiamo entrando in una dimensione difficilmente descrivibile con i tradizionali concetti
della modernità politica, a cominciare appunto da quelli di Stato e di democrazia rappre-
sentativa. Ma questa transizione non ci assicura che il suo esito sia quello dell'entrata
nella post-democrazia. Entriamo nella dimensione dell'inedito, e proprio perchè si trat-
ta di un processo inedito, non si può valutarlo con i criteri del passato, nè attribuire una
sorta di autoevidenza a qualsiasi vicenda che ci accada di registrare.
Cimentarsi con il problema del modo complessivo in cui la tecnologia incontra il tema
delle libertà e istituisce lo spazio politico, significa proprio fare i conti con processi rea-
li. E proprio riflettendo su Internet possono essere in iudividuate le vie di un costituzio-
nalismo globale possibile, non affidato a norme sovrastatuali incorporate nei diritti sta-
tuali. Vale a dire, una costituzione del diritto per espansione, orizzontale, un insieme di
ordini giuridici correlati, non punto d'arrivo, ma strutturati in modo da sostenere la sfi-
da di un tempo sempre mutevole, quasi una costituzione infinita.
Lucianone
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