In questi giorni due preti, che piacciono a me ma credo anche
a tante altre persone più o
meno come me, hanno fatto parlare
la loro anima che non c'è più, hanno fatto sentire ancora le loro
parole rivolte agli ultimi, agli umili della terra, ai poveri e ai di-
seredati. Preti che ci hanno fatto sentire e vedere come quello
che conta è l'azione quotidiana (e non parole a vuoto) verso chi
ha bisogno, il prossimo in difficoltà. Sono le grandi figure di
Don Gallo (scomparso mercoledì scorso) e Don Puglisi (di cui
ricorre l'anniversario della morte dovuta ad uccisione di mafia),
che ci servono molto come esempi in questi tempi di degrado
morale e sociale/economico, di crisi non solo economica ma di
qualsiasi valore positivo, tempi in cui si assiste solo a una aspra
conflittualità e a un esasperato individualismo e in campo politi-
co e in campo sociale.
(Lucianone)
Se ne è andato Don Andrea Gallo, il prete degli ultimi:
una vita in strada sul filo dell'eresia. Ci ha lasciato mer-
coledì 22 maggio.
Aveva 84 anni, di Genova, famoso anche perchè "aveva
costretto gli atei a pregare per lui". Animava la Comunità
di San Benedetto al Porto, a Genova.
(da la Repubblica - 23/05/2013 - Massimo Calandri)
Genova - Dicono che il cuore abbia cessato di battere alle ore 17:45
di ieri (mercoledì), ma non è vero. Il cuore di Don Andrea Gallo con-
tinua a pulsare. In direzione ostinata e contraria, come ha sempre fat-
to. Come quello di Fabrizio De Andrè che con il "prete degli ultimi"
aveva stretto un'amicizia forte e discreta, molto genovese: "Perchè
non vuole fare di tutto per mandarmi in paradiso", mugugnava -
sollevato - il cantautore"... Se ne è andato ieri pomeriggio, nono-
stante un diluvio di preghiere - "Anche quelle di noi atei: non mol-
lare proprio ora!", gli tweettavano irriducibili - , confortato dall'a
more dei suoi ragazzi della Comunità di San Benedetto al Porto.
A luglio avrebbe compiuto 85 anni. Giovedì scorso un caffè bevu-
to in canonica con Davide Ballardini, l'allenatore di calcio che
qualche giorno prima aveva contribuito alla salvezza del"suo"
Genoa. Poi si è messo a letto nel suo piccolo studio, circondato
dalle immagini dei cari - la mamma Maria Tomasina, Papa Gio-
vanni, Don Bosco - , ad aspettare. Sempre al servizio dei dimen-
ticati. Sempre e comunque contro.
"Mi restano poca carne, ossa malandate e una testa sempre più
balenga", mormoraca l'altro giorno. Ma no, è sempre stato un leone
Fino all'ultimo istante e da quando era ventenne e novizio. con i Sa-
lesiani a Varazze. Poi le missioni in Brasile, però c'era la dittatura
ed era tornato - frustrato, ancora obbediente a Genova.
Da sacerdote il primo esemplare incarico: la Garaventa, nave-scuola
riformatorio per minorenni in grado di "raddrizzare" anche le teste
più dure. Non quella di don Gallo,. ostinato e contrario: per tre anni
cercò di introdurre un metodo educativo basato sulla fiducia e la li-
bertà, conquistandosi l'affetto dei giovani ma gli anatemi dei superio-
ri, che lo costrinsero a lasciare l'incarico". A quei tempi nei carruggi
era una vita che non si facevano prigionieri, , però questo "strano"
prete riusciva a toccare le corde dei più deboli. E quando il cardinale
Giuseppe Siri, conservatore come nessuno mai, ne ordinò il trasferi-
mento - "I contenuti delle sue prediche non sono religiosi ma politi-
ci, non cristiani ma comunisti" - , nell'angiporto scoppiò una rivolu-
zione che era un urlo di libertà, un anelito di amore.
Don Federico Rebora nei primi anni Settanta lo accolse nella par-
rocchia di San Benedetto. "Così è cominciato tutto", raccontava
Don Andrea e intanto gli veniva una bella luce negli occhi. I vico-
li, un tossicomane agonizzante. "A quei tempi l'eroina era quasi
sconosciuta, gli ospedali rifiutavano il ricovero perchè per la legge
di allora i consumatori dovevano essere arrestati. Ma il ragazzo sta-
va morendo. Dove lo porto?". In chiesa ogni giorno era già un via
vai di disperati. "E' nata la comunità di San Benedetto.". La bat-
taglia per riconoscere i tossicodipendenti come malati. L'accoglien-
za dei disperati, degli ultimi. Di quelli che tutti rifiutavano. Anche
i "trans" del ghetto, che nella Comunità trovano finalmente una
zona "franca" dove potersi sentire come tutti gli altri. Amati, com-
presi. - Senza volerlo Don Andrea diventa un simbolo, una bandie.
ra. Con i fatti, con l'esempio di ogni giorno. Perchè ci mette sempre
la faccia, basta chiamarlo per una causa "giusta", e cioè perdente:
disponibile, infaticabile. Un provocatore, se serve. "La droga è una
sostanza, in sè non è un bene o un male. Dipende dall'uso che se ne
fa". Confessa: "Ho ceduto alle tentazioni della carne, fra i trenta e
i quarant'anni. Un peccatore sì, ma non incallito". Con quel sigaro
ad incallirgli le dita e il cappello nero, in prima linea nei giorni del
tragico G8 di Genova. Una carezza per Carlo Giuliani, il ragazzo di
Piazza Alimonda. Un anno fa sponsor determinante di Marco Doria,
sindaco arancione che spariglia la tradizione Pd. Il mese scorso l'ul-
tima battaglia pubblica, a favore di un teatro genovese che rischia la
chiusura, il Modena. Ormai parlava a fatica: "Scusate, se non riesco
a chiudere le parentesi. Ma non mi arrendo".
No, non si è mai arreso. Ed è per questo che nei vicoli di Genova di-
cono che il cuore di don Gallo continui a battere.
Palermo
Don Puglisi: martire antimafia
Centomila persone alla cerimonis di beatificazione del parroco di periferia
In mezzo alle 100.000mila persone che, sabato mattina 25 maggio, affollavano il
prato del Foro italico sul lungomare di Palermo per partecipare alla beatificazio-
ne di don Pino Puglisi "martire" di mafia, c'era uno striscione che riportava una
delle frasi che il parroco di Brancaccio era solito ripetere: "Se ognuno di noi fa
qualcosa, allora si può fare molto". Associata ad un altro ricorrente invito del
prete palermitano, quello a scegliere "da che parte stare" . fra la giustizia e la so-
praffazione, fra il coraggio e l'omertà, fra la mafia e l'antimafia -, è la sintesi più
efficace del ministero pastorale, ma anche civile, di Don Puglisi. E la chiave per
comprendere sia le ragioni che hanno spinto decine di migliaia di persone - grup-
pi organizzati come gli scout, semplici fedeli e cittadini, molti da fuori Sicilia . a
partecipare alla cerimonia religiosa, sia l'apprezzamento che il prete palermitano
raccoglie dai non credenti e da chi si colloca fuori dal tempio.
"Don Pino Puglisi non fu mai prete per mestiere", ha detto nell'omelia l'arcive-
scovo di Palermo, il cardinal Paolo Romeo.. Non quindi "un onesto burocrate
del sacro che amministra i sacramenti, insegna un pò di catechismo e soccorre
qualche famiglia in difficoltà ponendo ai parrocchiani meno interrogativi pos-
sibili", spiega Augusto Cavadi, studioso palermitano dei rapporti fra Chiesa e
mafia. Ma UN PRETE CHE SI IMPEGNAVA NEL TERRITORIO E SI PRE-
OCCUPAVA DEI BISOGNI ANCHE MATERIALI DEI SUOI PARROCCHIANI:
allora le lotte per la costruzione delle fogne, di un presidio socio-sanitario e di una
scuola media a Brancaccio , quartiere feudo dei fratelli Graviano - condannati co-
me mandanti dell'omicidio - lasciato nel degrado per mantenere i suoi abitanti di-
pendenti dai fav ori e dal dominio mafioso: le marce antimafia, gli scontri con i
democristiani locali, i legami spezzati con i padrini in prima fila nella processio-
ne di San Gaetano, il patrono della parrocchia.
Lo ricordano i cittadini di Brancaccio che erano al Foro Italico: "Avevo 15 anni
quando l'ho conosciuto. mi ha colpito la sua onestà limpida ma anche il silenzio
assordante delle istituzioni quando denunciava i problemi del quartiere", raccon-
ta Mimmo De Lisi, oggi assistente sociale al centro 'Padre nostro' di Palermo.
CONTINUA...
to be continued...
Nessun commento:
Posta un commento