giovedì 29 dicembre 2022

SPORT - Mondiali Calcio 2022 in Qatar / E alla fine Argentina e Messi trionfarono...

 29 dicembre '22 - giovedì                          29th December / Thursday                      visione post - 6

Mondiali calcio 2022 -

Commento
con vista panoramica
- L. Finesso -
... E tutto andò come doveva andare... Messi e Messi e Messi con la sua Argentina portato in trionfo
sulle stelle accanto al suo idolo Maradona. Non poteva essere altrimenti.  Troppo ci teneva il fuori-
classe argentino, troppo avevano atteso i suoi fan, sostenitori e accaniti tifosi latinoamericani azzur-
ri perchè ciò non avvenisse. E il destino si è compiuto, tutto è andato al suo posto magari con un pò
di fatica, un pizzico di fortuna ma alla fine con tanta tenacia, passione e insomma voglia di conclude-
re in bellezza e appunto con trionfo celestiale.
Ma al di là dell'Argentina per tre volte adesso decorata con la coppa Rimet, che altro abbiamo visto 
in questo mondiale, tenuto tra parentesi in un Paese che se be infischia dei diritti umani e che ha sul-
coscienza (sempre che una coscienza ci sia) più di seimila morti tra il popolino suddito?
Abbiamo visto un Portogallo che senza più ormai la spinta del "vecchio" Ronaldo vale sempre me-
no nell'arena mondiale del calcio, abbiamo visto un'Inghilterra ancora molto valida e come uomini
schierati in campo e come schemi di gioco sempre all'altezza degli avversari, abbiamo visto altresì
un Brasile ondivago ancora troppo dipendente da alcuni suoi assi e dalla sua stessa fantasia  che
i tempi moderni del calcio hanno un pò logorato.
Continua...
to be continued...

Società / La nuova guerra Russia vs Ucraina e le ombre del pacifismo

 29 dicembre 2022 - giovedì                           29th December / Thursday                visione post - 3

(da la Repubblica - 5 maggio '22 / di Gianni Riotta)

Corsi e ricorsi
Le ombre del pacifismo:
da Hitler all'Ucraina       
"E' solo una passeggiata dei tedeschi nel loro giardino di casa", disse Philip Kerr , XI Marchese di
Lothian, quando Adolf Hitler, nel 1936, fece occupare dall'esercito la Renania.  E per l'aristocratico 
inglese, l'idea che i nazisti fossero "vittime" da redimere dell'arroganza occidentale, durò a lungo:
"Hitler è un visionario, non un gangster", ripeteva nei memorandum diplomatici al premier britan-
nico Chamberlain e al ministro degli Esteri Eden, anticipando il giudizio che  l'ex presidente ame-
ricano Trump formulerà su Putin: "Un genio!".  Il marchese Kerr incontrò Hitler e, tornato a Lon-
dra, dettò parole che echeggiano think tank, editorialisti e leader di oggi, certi che svendere i con-
fini dell'Ucraina blandirebbe Putin: "Non bastano guerre e sanzioni economiche contro la Germa-
nia... i tedeschi si sentono pari alle grandi potenze, come loro naturale diritto". Quando Chamber-
lain firma i patti di Monaco con i nazifascisti, Monaco 1938, il marchese di Lothian giubila: "Che
capolavoro... si possono dunque  far progredire i nazisti, esistono altre strade per capirsi, oltre la
guerra... ". 
Anche in America pacifisti, neutralisti, docenti, esperti di strategia, prelati e giornalisti cattolici
si indignano contro i "guerrafondai", cioè chi si preoccupa  dell'offensiva  di Germania, Italia, 
Giappone.   Il 17 settembre 1939, a guerra appena scoppiata in Europa, padre Charles Coughlin,
popolare monsignore cattolico e conduttore radiofonico dalle staziobni WINS e WMCA (20 mi-
lioni di ascoltatori) in casa e in parrocchia incita i fedeli a "una marcia della pace, per mobilitare l'esercito della pace" e stoppare l'intervento del presidente F.D. Roosevelt contro i dittatori. Ac-
cusato di antisemitismo, per aver lanciato  il pamphlet di odio dei Protocolli dei Savi di Sion e
diffuso disinformazione nazista, spacciata da interviste, monsignor Coughlin si difende con la 
battuta arcinota: "Io? Ma se ho amici ebrei!" -  I cartelli dei pacifisti che, anzichè battersi per la
pace, coprirono le aggressioni negli anni Trenta e Quaranta, arrivano fino a noi, nella risacca di ipocrisia: "Armiamo la Gran Bretagna? Prolunghiamo la guerra!", "Volete combattere? Andate 
al fronte!".  La corte di intellettuali, firme e predicatori che cavillano, ieri sulle ingiustizie subi-
te dai tedeschi, ora su quelle patite dai russi, illude l'opinione pubblica, con spocchia da Pilato,
che svendere i diritti umani sia "pacifista. Anche il Mahatma Gandhi, confuso dalla ferocia del
tempo, cedette il realismo della storia a un illusorio, mistico, amore universale, ammonendo gli
inglesi al fronte "Questo massacro deve cessare!  State perdendo, se vi ostinate, prolungherete
solo le stragi... dopotutto Hitler non è crudele..."  e, ancor più bizzarramente, gli ebrei durante l'Olocausto: "Se fossi ebreo e vivessi in Germania... sfiderei i tedeschi a uccidermi o gettarmi
nelle segrete... la sofferenza volontaria vi darebbe forza e gioia... ".
E' ingiusto, per noi, irridere quelle voci e quei proclami che ci appaiono grotteschi e violenti,
visto che i protagonisti non avevano certo le nostre prospettive storiche, ma è giusto invece
chiedercperchè i loro toni melliflui, distensivi verso i dittatori e aspri verso i leader democra-
tici, rimbalzino dalle radio a galena ai podcat, dai comizi di piazza con ciclostile e volantino
a Instagram, Twitter e la nuova piattaforma social Mastodon, mantenendo intatta la disinfor-
mazione tossica.  -  Quando America First  movimento pacifidta e neutralista che, alla vigi-
lia del secondo conflitto mondiale, accene università, media e politica negli Usa, accusa il
presidente Roosevelt di essere "guerrafondaio", molti animi saranno pure stati in buona fe-
de. Gli esiti, alla luce della realtà, sono tragici.  L'11 settembre 1941, a tre mesi dall'attacco
di Pearl Harbor, Charles Lindbergh, eroe dell'aria per la prima trasvolata New York-Parigi,
e fondatore di America First, grida a Des Moines, Iowa "Gli ebrei americani devono oppor-
si alla guerra, non chiederla! Sarebbero loro i primi a subirne le conseguenze! La tolleranza
è virtù di pace, non sopravvive alla guerra".  Vale a dire, e sembra di ascoltare un'intervista
a Lavrov o la manifestazione di Santoro, Messora, Freccero di qualche giorno fa, le vittime
devono subire. in silenzio, pena maggiori sofferenze.
Come nel 2022, cattedre, titoli, fama, prime pagine si contendono la "Tribuna della Resa",
camuffata con l'ulivo della pace, applaudendo la neutralità farlocca di America First, in
prima fila l'architetto geniale Frank Loyd Wright, i futuri presidenti Kennedy e Ford, il
fondatore dell'organizzazione umanitaria Peace Corps, Sargent Shriver.  Di nuovo, accu-
sare chi, con razocinio e compassione, denuncia la ferocia russa e riconosce la pena del-
le vittime, di "mettersi l'elmetto", caricatura toccata  a sinistra  al segretario  Pd  Enrico
Letta, fa incassare Like e applausi interessati.  Domani, nelle università, parrocchie, re-
dazioni, circoli politici e diplomatici neutralisti costerà vergogna, rimorsi, desiderio di
amnesia.
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I 5 Stelle e molti pacifisti non sono contenti della controffensiva
ucraina e non ne fanno mistero. Invece di vedervi la giusta risposta
 alla ingiustificabile aggressione russa vi colgono solo la premessa dell’allargamento
 del conflitto nella guerra nucleare mondiale.
(dalla rivista Micromega) -

Lucianone     

giovedì 15 dicembre 2022

DOSSIER - Società / Politica - Le origini e lo sviluppo della 'Crisi iraniana', ma senza per ora possibilità di cambiamento

 15 dicembre '22 - giovedì                             15th December / Thursday                visione post - 10       

(da "il manifesto" - 7 dicembre 22 /  I Giorni dell'Iran - Alberto Negri)

La crisi iraniana
Il regime e le riforme impossibili

Forse la generazione Z dell'Iran non lo conosce. Il più noto studioso di storia contemporanea
dell'Iran, Ervand Abrahamian, antico oppositore della Shah, sosteneva qualche tempo fà sulla
New Yorker Revoew di ritenere improbabile una terza rivoluzione.  Dopo quella del 1905 e
del 1979. Ma Abrahamian suggeriva anche un'altra cosa: finora l?Iran si è retto più che sulla
religione su un sistema di welfare state e sussidi che grazie alle rendite del petrolio ha assicu-
rato il consenso reale.  Ed è questo pilastro, nato dall'ideologia di populismo sociale della ri-
voluzione e dallo sciismo "rosso" del filosofo Alì Shariati, che da tempo ha cominciato a va-
cillare e in piazza non vanno più solo i gio vani e le giovani iraniane, ma ci sono scioperi dei
commercianti e in diversi settori economici. -     La crisi di questo sistema in Iran si incrocia 
con le proteste contro il velo delle donne e un potente cambio generazionale che vede in piaz-
za giovani che non hanno visto ovviamente nè la rivoluzione khomeinista del '79 nè la guerra
Iran-Iraq (1980 - 1988).  Gli iraniani oggi sono 86 milioni, di questi oltre 40 milioni sono nati
dopo la rivoluzione e la metà (fonte Undp) hanno tra i 10 e i 24 anni.  Per avere un confronto,  
alla vigilia della rivoluzione la popolazione iraniana era di 38 milioni di abitanti ma allora la
produzione petrolifera  era il doppio  di quella di oggi, 2,5 milioni di barili al giorno, in gran
parte diretti in Cina. Le sanzioni hanno colpito duramente dal 2012, quando ci fu l'ultima tor-
nata, e la valuta iraniana ha perso da allora i due terzi del suo valore sul dollaro mentre l'in-
flazione supera il 50 per cento. -  Il welfare state iraniano insieme ai prezzi sussidiati di beni
alimentari ed energetici, che costava circa 100 miliardi di dollari l'anno, quasi la metà del Pil
stimato nel 2020 di 231 miliardi dollari. ha subito un crollo del 40 per cento.
Ma in che cosa consiste  questo sistema di cui il presidente Ibrahim Raisi  ha annunciato  in
maggio un taglio clamoroso sui prezzi calmierati di grano e farina?  fare profitti e non paga-
re tasse: è stato il sogno coltivato per due decenni dai bazari iraniani che finanziarono gene-
rosamente la rivoluzione islamica dell'Imam Khomeini. Dopo la caduta dello Shah nel '79 si
è in parte avverato con le Bonyad, le Fondazioni esentasse che hanno incamerato non solo le
proprietà immense della cosona imperiale ma anche  la maggior parte dei conglomerati e del-
le attività economiche che facevano capo alle famose  100 famiglie introdotte  alla corte  dei
Palhevi. -  Le nazionalizzazioni non avevano nulla a che vedere con il socialismo o il marxi-
smo, che pure facevano parte insieme all'Islam sciita delle correnti ideologiche della rivolu-
zione: una nuova classe dominante rovesciava quella vecchia.
Era così che con l'alone dell'utopia rivoluzionaria il turbante dei mullah si sostituiva alla corona
imperiale.    Tutto questo - così almeno avrebbe voluto Khomeini - doveva andare a beneficio dei
mostazafin, letteralmente i senza scarpe, letteralmente i senza scarpe, i diseredati e gli oppressi in
nome dei quali era stata fatta la rivoluzione. In realtà religiosi, ex rivoluzionari, Pasdaran e uomi-
ni d'affari, si sono impadroniti del business di un Paese con enormi riserve di gas e petrolio. Oggi
non solo i più poveri sono sempre più poveri ma anche la classe media è in crisi.
L' ayatollah economy delle Fondazioni è la spina dorsale del potere, una rete clientelare e di welfare
state che si ramifica nella società e si prolunga oltre i confini della repubblica islamica. Le Bonyad -
un centinaio, di cui una dozzina quelle che contano davvero - hanno fini istituzionali caritatevoli e
di assistenza ma non rinunciano ai profitti e coinvolgono più o meno direttamente cinque milioni di iraniani : sono quindi state essenziali in questi decenni nella fabbrica el consenso del regime.  Non
c'è dubbio che le Bonyad siano il cuore di questa economia: detengono almeno il 30-40% del Pil e
hanno sottratto spazio ai privati favorendo soltanto alcuni di loro, quelli vicini alla cerchia del po-
tere. -   Ed è esattamente questo il problema. Lo spiega bene in una recente intervista Ahmad Zei-
dabadi, giornalista riformista ed ex prigioniero politico  in una recente intervista all'Ilna, agenzia
semi-ufficiale dei sindacati: "Buona parte del sistema al potere pensa che la dignità e il benessere
appartengano soltanto agli insider e ai fedelissimi mentre il resto della popolazione non ha diritto 
a parteciparvi.  Ma questa nuova generazione iraniana cresciuta  con Internet   e  le tv satellitari -
dice Zeidabadi - non riconoscono più nessuna autorità , nè in famiglia nè a scuola nè all'universi-
tà, vede il suo orizzonte buio, senza posti di lavoro qualificati, senza alcuno spazio politico o di
espressione alternativi".
La domanda di fondo è questa: è possibile riformare una società e un'economia come queste?  
Quando ci ha provato il presidente Mohammed Khatami nel 1997  le riforme sono durate una
breve stagione, poi Hassan Rohani ha firmato nel 2015 l'accordo sul nucleare con gli Usa, pro-
mettendo nuova era di benessere, e Trump lo ha annullato nel 2018.  Pochi si fanno illusioni.
Come dicono in Iran, il sistema per cambiare dovrebbe tagliare il ramo dell'albero dove sta se-
duto da oltre 40 anni. E, al momento, non sembra possibile.



Proteste in Iran per la morte di Mahsa Amini, arrestata e percossa dalla polizia morale, a Teheran,
1 ottobre 2022 

L'IRAN nel buio
Teheran  -  Spunta un audio su torture ai detenuti: "Picchiati e costretti a violentarci a vicenda".
                  E' Ali a parlare, tassista arrestato nelle proteste per Mahsa Amini, in un audio tra-
                 dotto e pubblicato dal Corsera.  Si moltiplicano, intanto le iniziative aostegno dei 
                 diritti in Iran. Il Senato italiano approva risoluzione contro la repressione.


Lucianone

mercoledì 7 dicembre 2022

COMMENTI - Pandemia/Guerra: un doppio trauma

7 dicembre '22 - mercoled'                         7th December / Wednesday                   visione post - 4

(da la Repubblica - 14 giugno '22 - di Massimo Recalcati)

Un doppio trauma

L'uno-due è stato tremendo: prima il trauma della pandemia, poi quello della guerra nel cuore del-
l'Europa. Prima l'angoscia dell'infezione che poteva portare la malattia e la morte nelle nostre case
stre case, poi l'angoscia di fronte alla crudeltà dell'aggressione russa  e  alla potenziale escalation
del conflitto bellico dagli esiti imprevedibili, ma già sufficienti per coinvolgere  e  destabilizzare la
nostra vita collettiva. La sensazione diffusa di smarrimento provocata da questo doppio incubo ri-
guarda non solo il tempo presente, ma investe pesantemente anche il nostro futuro. Anzi, nel tempo
più acuto della pandemia era proprio il futuro in quanto tale ad essere messo in gioco nel modo più
estremo: "Esisterà ancora, ci sarà ancora un futuro?  Ci sarà ancora il mondo come lo abbiamo co-
nosciuto e amato?". La dimensione apocalittica di queste domande ha attraversato con più o meno
forza le nostre vite sottoposte alla virulenza del Covid . Tuttavia, accanto ad una esperienza collet-
tiva di impotenza e di inermità abbiamo abbiamo anche vissuto un'esperienza di resistenza al male. 
Le istituzioni  tanto vilipese  dall'ideologia populista ci hanno salvato: la famiglia, gli ospedali, la
scuola, la scienza, l'esercito, l'azione dei governi che hanno gestito l'emergenza.  Ciascuno, certo,
può avere  la sua opinione  su questa gestione (efficiente, precaria, improvvisata, contraddittoria, 
ecc.), ma è fuori di dubbio che senza la vita delle istituzioni la nostra stessa vita si sarebbe perdu-
ta.  Grande lezione che ha disfatto nel modo più radicale possibile il postulato sul quale si era retta 
in questa ultima stagione politica l'ideologia populista: le istituzioni sono antagoniste alla vita.
Quello che abbiamo visto è invece l'esatto contrario: le istituzioni non sono affatto nemiche della
vita perchè la vita senza istituzioni è vita morta. -  Ma sfocato il primo piano sul Covid, attualmen-
te, come dichiara sconfortato un mio paziente, "non si può pensare ad altro se non alla guerra".
Con l'invasione russa dell'Ucraina una pesante cappa di incertezza  è nuovamente calata sulle no-
stre vite. Mentre però con la pandemia l'oggetto che rischiavamo di perdere era il mondo intero in 
quanto tale (viaggiare, incontrarsi, abbracciarsi, condividere gli spazi, il lavoro, ecc.), oggi a rischio
 di perdita sembra essere la pace.  dal dopoguerra ad oggi abbiamo costruito faticosamente l'Europa
come un luogo prezioso dove il conflitto politico ha potuto manifestarsi tra gli Stati e dentro gli Sta-
ti senza però mai ricorrere alla brutalità della guerra. Questa idea della pace come conquista sicura,
come habitat civile dato per acquisito, si è oggi tragicamente incrinata. "Non si può pensare ad altro
che alla guerra", come dice il mio paziente, significa che quello che sta accadendo oggi in Ucraina
i riguarda direttamente. Nel senso che con l'aggressione dell'Ucraina è anche la nostra faticosa co-
struzione della pace che è stata aggredita.   Nondimeno, l'Occidente  visto dal regime putiniano e  
dai suoi ideologi - tra tutti il patriarca Kirill - non è affatto un luogo di pace, ma di perdizione. Esso
appare come una comunità disossata, priva di valori etici, profondamente corrotta nello spirito: la
nostra libertà è, dunque, falsa come è falsa la nostra pace. E' questo il giudizio severo che si mani-
festa per bocca di Kirill e degli altri ideologi  del regime putiniano. Quello che colpisce è che tale
giudizio trova proprio nel nostro Paese numerosi accoliti sia all'estrema sinistra che all'estrema de-
stra come a segnalare che la nostra interiorizzazione effettiva della cultura democratica  non è mai
avvenuta in modo compiuto. Per questo permane una lugubre fascinazione rossobruna nei confron-
ti della figura di Putin. Ma quale pace, ma quale libertà? Non era forse esattamente questo il dubbio
avanzato dagli ideologi nostrani No Vax e No Covid nel tempo più drammatico della pandemia? 
E non è forse questo lo stesso dubbio sostenuto da molti di coloro che sostengono le ragioni russe
nel conflitto in Ucraina? Al fondo di entrambe queste posizioni c'è, in realtà, un odio politico lar-
vale per le democrazie e un giudizio morale sulla decadenza inarrestabile dell'Occidente. Il loro
sguardo resta nostalgico.  Non è un caso che i maggiori esponenti politici e intellettuali di questi 
schieramenti appartengano a generazioni ormai anziane. Le nuove generazioni non hanno avuto
dubbi nè sui vaccini nè ne hanno sul crimine compiuto da Putin nei confronti del popolo ucraino. 
Diversamente, anzichè chiedersi perchè i Paesi al confine della Russia si sono via via liberamen-
te allontanati dopo il crollo del Patto di Varsavia, i nostri critici inflessibili della democrazia euro-
pea condividono pienamente l'idea dell'Occidente corrotto nelle sue fondamenta. ma quale pace,
ma quale libertà?  Sono le stesse parole  che troviamo  sia sulla bocca del patriarca Kirill, sia su 
quelle di molti filorussi nostrani. Hanno lo stesso sapore medioevale di una condanna religiosa.  

Lucianone