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(da la Repubblica - 25 settembre '22 / di Paolo di Paolo)
La stagione degli abbracci
Ci siamo noi nel film di Moretti
Ci siamo noi nel film di Moretti
"Sveglia!". Il mondo è più grande di questo condominio", dice Margherita Buy in una scena di
Tre piani, il nuovo film di Nanni Moretti. Che naturalmente ci si affretta a discutere, a confrontare,
a giudicare nelle tribune pubbliche, anche senza averlo visto. E magari senza accorgersi che i per-
sonaggi, i protagonisti, siamo noi: come in uno specchio, induriti, segnati; più chiusi che realmente
aperti, più ansiosi che solari, goffi e incerti come dopo un trauma ortopedico. Abbiamo atteso così
a lungo di ritrovarci - com'è che si dice - in presenza. Bene, eccoci qua, perfino al cinema: contenti
e insofferenti a un tempo - un'occhiataccia a chi si abbassa la mascherina, a chi entra a film iniziato,
a chi commenta con lo spettatore accanto. Ci saremmo corsi incontro pur di abbracciarci di nuovo:
è stato meno naturale del previsto. Atterriti, stravolti, confusamente carichi di desiderio, e soprattut-
to: suscettibili. "Che cosa stava succedendo? Cosa aleggiava nell'aria? Litigiosità, suscettibilità a
fior di pelle, indicibile insofferenza. Una generale tendenza al battibecco velenoso, a crisi di rabbia
che potevano addirittura sfociare in colluttazioni...".
Una cronaca di questi giorni? No, Thomas Mann cento anni fa. A un paio di colluttazioni si assiste
anche nel film di Moretti. Segno di una esasperata insicurezza di sè, e di come "il minuto e fragile
corpo umano" possa reagire (male) quando si trova nel mezzo di un campo di flussi distruttivi ed
esplosioni. - Un film ispirato a un romanzo dello scrittore israeliano Eshkol Nevo, e girato prima
della crisi sanitaria, sembra rimsndarci un'immagine di noi scabra, senza lusinghe, perfino troppo
esatta. Un condominio, le finestre accese, bambini, ragazzi, adulti, vecchi. e la verità ambigua di
ciascuno, l'attesa di essere compresi, cioè perdonati. Nella fotografia di gruppo c'è anche chi vor-
rebbe restarne fuori, on la propria aria di sufficienza, con il sarcasmo facile. In un'epoca che fa
dell'ironia a tutti i costi l'unica moneta di scambio socile e social, Moretti qui azzera l'ironia. Non
dev'essere un caso. E mette in scena paure, ossessioni, inadeguatezze, spettri, li stipa tutti nello
stesso condominio, confinando i corpi degli attori in quelle stanze, lasciando che piangano, go-
dano, si disperino, si arrovellino alla ricerca di un equilibrio impossibile fra il dentro e il fuori.
La casa e la strada. La propria cucina e il mondo. Facendoli scontrare, i suoi personaggi, e fare
scintille per via di incomprensioni e differenze che sembrano radicali, insuperabili, irriducibili.
Vi ricorda qualcosa? Ma poi sono tutti costretti ad accettare, a riconoscere, magari senza dirlo,
un disperato bisogno di comunità. Costretti a capire - anche dolorosamente - di avere bisogno
degli altri. - la giovane madre sola interpretata da Alba Rohrwacher chiede alla vicina di casa
di fermarsi e di starle accanto mentre fa il bagnetto alla figlia neonata: "Adesso che lei è qui",
le dice, "tutto sembra più reale".
Lucianone
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